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La misura del potere mondiale

ascesa della Cina

Presentiamo la traduzione di uno degli ultimi articoli di Tony Norfield. L’autore ha una formazione accademica in economia e matematica, ha lavorato per otto anni come consulente economico e per quasi venti nella City, da ultimo come direttore esecutivo incaricato di analizzare i mercati valutari globali per conto di una grande banca europea. È autore del volume The City: London and the Global Power of Finance, Verso, 2017.

L’articolo cerca di stimare il peso e l’influenza dei diversi paesi, con particolare attenzione all’ascesa della Cina negli ultimi anni, senza però cedere a facili entusiasmi sul declino degli Stati Uniti d’America.


Un pugno di paesi può esercitare un grande potere nel resto del mondo. Vi sono solo cinque membri permanenti nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ossia quelli con facoltà di porre il veto su importanti decisioni dell’ONU. Oppure si consideri il G7, un forum di paesi ricchi a guida statunitense che, guarda caso, comprende sette membri. La concentrazione del potere mondiale, dunque, è estrema e si basa sulle differenti modalità attraverso cui un paese può influenzare come funziona il mondo.

Alcune di queste modalità sono ovvie, come ad esempio il ricorso al potere militare per costringere un altro paese a sottomettersi. Molte altre non lo sono, in particolare quelle legate al sistema che avviluppa l’economia mondiale. Cinque misure del potere mondiale possono essere utilizzate per stimare lo status dei paesi [1]. Queste mostrano non solo come gli Stati Uniti siano di gran lunga più prominenti di quanto suggerito da una semplice misurazione delle dimensioni economiche, come il PIL; mappano invece anche l’importanza relativa di altri paesi e gettano nuova luce su una delle principali questioni geopolitiche odierne: l’ascesa della Cina.

L’ascesa della Cina

La Cina era una volta vista innanzitutto come un’importante fornitrice di beni a basso costo e prezioso volano per l’economia mondiale. Ora gli Stati Uniti guardano al paese asiatico come alla più grande minaccia ai loro interessi globali. Ogni anno, centinaia di pagine vengono pubblicate su tale argomento per il Congresso USA, in aggiunta al flusso costante di materiale destinato ai politici statunitensi da parte di think tank e gruppi lobbistici [2].

Nel 1990, la Cina costituiva solo il 2% del PIL mondiale. Da allora, tale quota è raddoppiata ogni decennio e Beijing rappresenterà probabilmente il 18% per il 2021 [3]. Tutto ciò ha inquietato il ristretto gruppo di paesi che dominano le principali istituzioni mondiali, poiché cambiamenti quantitativi possono anche portare mutamenti qualitativi. Riusciranno a mantenersi al comando come in passato ora che un paese esterno al club dei ricchi è salito alla ribalta? L’interrogativo si pone specialmente per gli Stati Uniti. Tutte queste istituzioni – le Nazioni Unite, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, l’Organizzazione mondiale del commercio e altre – sono state plasmate dagli USA [4]. Le prime tre hanno persino i loro quartier generali a Washington o New York.

La Russia – a suo tempo principale costituente dell’Unione Sovietica – è il nemico tradizionale degli Stati Uniti. Tuttavia, si tratta prevalentemente di un ostacolo militare, nonostante la recente credenza USA che possa influenzare le elezioni presidenziali acquistando annunci pubblicitari su Facebook. La Cina, di contro, rappresenta una sfida ben più vasta al modo in cui gli Stati Uniti stabiliscono le regole per il mondo, come si vede quando ignora le sanzioni sponsorizzate dagli USA contro paesi come l’Iran. La retorica politica e le misure economiche statunitensi contro la Cina, acuitesi col presidente Trump, proseguono senza sosta sotto la nuova amministrazione Biden. Tutti gli incontri internazionali tenuti da Biden e da suoi funzionari sin dall’inizio del 2021 – al G7, alla NATO, in Europa e in Asia – hanno avuto un forte carattere anti-cinese.

Misurare il potere

Il potere ha molte dimensioni. Ecco dunque cinque aspetti del potere economico e politico rilevanti per l’influenza internazionale di un paese.

La dimensione economica è una misura del peso di un paese nel mondo, solitamente stimata in base al suo PIL. Quest’ultimo dato è nel complesso correlato alla grandezza del mercato interno del paese in questione, a quante grandi società vi sono e alla sua importanza nel commercio internazionale. Gli Stati Uniti sono la maggiore economia mondiale, rappresentando all’incirca il 24% del PIL mondiale. I paesi del G7 – USA, Giappone, Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia e Canada – insieme ne costituiscono il 45%, nonostante ospitino solo il 10% della popolazione globale. Il PIL conta quindi più del numero di persone quando si tratta di potere e influenza [5].

 

Per il 2020 il PIL della Cina era poco meno di tre quarti di quello degli Stati Uniti. Il PIL del Giappone grosso modo un quarto, quello della Germania quasi un quinto, Gran Bretagna e Francia circa un ottavo ciascuna. Tutti i paesi sono stati colpiti dalla pandemia del Covid-19, il che ha avuto scarso effetto sulla loro posizione relativa. Tuttavia, le sanzioni USA avranno in qualche modo frenato la crescita della Cina negli ultimi anni.

Gli asset esteri di un paese sono un’altra importante misura del potere. Tali asset comprendono la proprietà di compagnie operanti in altri paesi, in aggiunta al possesso di titoli finanziari, nonché quella di beni immobili [6]. Tutto ciò indica il livello di controllo di un dato paese sulle risorse di altri e la dimensione degli asset è correlata ai potenziali ricavi che da queste può ottenere [7].

Alla fine del 2020, gli Stati Uniti detenevano di gran lunga la maggiore provvista di asset esteri, per un valore di circa 22,7 bilioni di dollari. Subito dopo la Germania, ma ben al di sotto con ‘solo’ 6,3 bilioni di dollari, a seguire i Paesi Bassi, la Gran Bretagna e la Francia. Gli asset esteri di Cina e Hong Kong ammontavano invece a poco meno di 5 bilioni di dollari.

Questi dati sulla proprietà di asset, così come molti altri pubblicati in proposito, non tengono conto dei flussi finanziari tra i paesi principali e i paradisi fiscali. Questi ultimi sono registrati nei dati ufficiali come proprietari di significativi asset esteri, però gran parte dei loro fondi proviene originariamente da investitori dei paesi principali [8]. Ciò non dovrebbe avere gran che effetto sui calcoli al massimo livello qui utilizzati [9].

L’assunzione e l’erogazione di prestiti internazionali da parte delle banche sono una terza misura. Questi dati mostrano quanto è coinvolto nel convogliare fondi in tutto il mondo un determinato paese, nonché sino a qual punto lo stesso si configuri come polo finanziario in grado di trarre profitto dalle transazioni internazionali. Londra costituisce il più grande centro per le banche internazionali. Sebbene possa sorprendere che la capitale britannica superi Wall Street in tale misura, ciò è dovuto al fatto che molte attività bancarie USA sono orientate al mercato interno statunitense più che a livello internazionale.

Cionondimeno, la Brexit ha avuto un certo impatto sul settore bancario internazionale. Con la Gran Bretagna fuori dal mercato unico dei servizi finanziari dell’UE, alcune banche hanno trasferito le proprie operazioni da Londra in centri dell’Unione europea. La Francia ha guadagnato molto terreno in conseguenza di ciò, balzando al secondo posto subito dopo la Gran Bretagna per la fine del 2020, superando gli Stati Uniti che si attestavano al terzo posto (vedi grafico seguente).

Quanto la valuta di un paese viene utilizzata negli accordi di cambio (FX) per il commercio e gli investimenti è un altro aspetto della sua posizione economica nel mondo. Direttamente o indirettamente, anche questo si aggiunge al suo potere mondiale. Il che appare con maggiore evidenza per gli USA con il dollaro, il quale è coinvolto in un 88% di tutti gli accordi valutari.

Numerose merci e importanti beni industriali, compresi petrolio, metalli, cereali, tecnologie, prodotti farmaceutici e aerospaziali, sono valutati per il mercato in termini di dollari USA. Lo stesso vale per molti investimenti e accordi finanziari, agevolati dagli Stati Uniti in virtù del fatto che vi si trova i maggiori mercati azionari e obbligazionari al mondo, persino la Asian Infrastructure investment Bank, a guida cinese, conduce i propri affari principalmente in dollari USA.

Il potere degli Stati Uniti in tale ambito si basa sul fatto che quasi tutte le operazioni implicanti dollari USA devono essere regolate tramite il sistema bancario interno USA. Le immagini di narcotrafficanti e criminali che attraversano il confine con sacchi pieni di denaro possono andar bene per il cinema, ma non rappresentano quanto avviene realmente nei trasferimenti internazionali di fondi.

Ciò significa che se non si va a genio al governo USA – si tratti di individui, società o stati poco importa – questo può cercare di impedire delle operazioni, anche quando la parte coinvolta non ha sede negli Stati Uniti. Se tuttavia una banca dovesse trattare comunque con un’entità invisa agli USA, in dollari o anche in un altra valuta, questi possono multarla e minacciare di escluderla dall’enorme mercato statunitense. Il Dipartimento del tesoro del governo degli Stati Uniti ha un’agenzia speciale deputata a tale scopo, opportunamente denominata Office of Foreign Assets Control

Altri paesi potrebbero tentare di esercitare il potere allo stesso modo quando dotati di valute importanti, ma queste ultime hanno una rilevanza internazionale di gran lunga inferiore. Ad esempio, la quota euro dei mercati mondiali FX è solo del 30% [10], con lo yen giapponese metà di questa percentuale al terzo posto e la sterlina britannica al quarto [11]. Finora, la valuta cinese renminbi ha svolto un ruolo assai minore in termini di commercio internazionale, attestandosi intorno al 4% [12]. Il che si basa sull’inclusione relativamente tardiva della Cina nei mercati finanziari, insieme a più estesi controlli governativi sul flusso di capitali rispetto a quelli di altri grandi paesi.

L’ammontare della spesa militare è un semplice indicatore di quanto un paese può ricorrere alla forza militare contro un altro, o minacciare di farne uso, e costituisce la quinta misura del potere qui utilizzata. Gli USA sono ancora una volta al primo posto e hanno anche basi militari in oltre cinquanta paesi. Per converso, la Cina ha installazioni in soli altri tre paesi (Gibuti, Myanmar e Tagikistan).

Anche se gran parte della spesa militare USA è in realtà più un sussidio indiretto all’economia e alle società interne statunitensi o riguarda equipaggiamenti a prezzi gonfiati, la loro spesa totale, assommante all’enorme cifra di 778 miliardi di dollari nel 2020, garantisce loro ancora un ampio margine di manovra nel proiettare il proprio potere. Una cifra tre volte più alta di quella della Cina e dodici rispetto alla Russia. Il vantaggio degli Stati Uniti su altri grandi paesi nelle spese militari è aumentato negli ultimi due anni. 

Un bilancio del potere

Ognuno dei cinque fattori ha limitazioni riguardo l’accuratezza e la copertura. Ma insieme forniscono un’utile panoramica del potere e sono disponibili per un gran numero di paesi. Questa misurazione del potere mondiale trova conferma nel modo in cui i risultati dei primi venti paesi comprendono i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU, tutti quelli del G7 e la maggior parte dei membri del G20.

Un paese può avere un punteggio alto su un componente e totalizzare ben poco in un altro, ma tutti eccetto pochi paesi nel mondo hanno risultati trascurabili su tutti. Gli Stati Uniti hanno un punteggio di 93,2, con la Cina ben al di sotto in seconda posizione al 37,7. Solo altri sei paesi raggiungono un punteggio superiore a 10,0. Più di 150 paesi ottengono meno di 1,0. Un’immagine dell’estrema gerarchia del potere che dovrebbe suscitare qualche riflessioni in chiunque usi la locuzione ‘comunità internazionale’! 

ascesa della Cina

Fonti e note: si veda il primo grafico per i dettagli

Questo calcolo del potere dipende dai valori dei singoli paesi e non tiene conto degli effetti delle alleanze tra di essi o di fattori non così facili da quantificare, come l’influenza culturale. Fattori che, se inclusi, si aggiungerebbero al dato del potere USA generandone un’immagine ancor più imponente. Si prenda in considerazione la NATO, ad esempio, la quale ha dato per scontato che la regione di sicurezza del ‘Nord Atlantico’ si estenda fino all’Afghanistan, il primo obiettivo statunitense del dopo 11 settembre 2001. O ancora, come le società di social media USA dominano internet, la diffusione fra i giovani di tutto il mondo dei cappellini da baseball e come persino l’enorme industria cinematografica indiana si definisce ‘Bollywood’. 

Cosa viene dopo?

Gli Stati Uniti sono preoccupati dall’ascesa dell’economia cinese, sebbene il loro potere si estenda ben oltre quanto una semplice stima economica potrebbe suggerire. Uno sguardo all’indice del potere per i principali paesi, nel corso degli ultimi due decenni, mostra come la Cina ha sviluppato anche alcuni ambiti al di là del PIL, in particolare la spesa militare, il settore bancario internazionale e la proprietà di asset esteri.

Fonti e note: si veda il primo grafico per i dettagli.

In anni recenti, la Cina ha sostituito la Gran Bretagna nel secondo posto di questa classifica del potere mondiale. Gran Bretagna che è la quinta economia più grande al mondo, ma il cui status è rafforzato dal suo ruolo nel settore bancario internazionale. Ciò riflette la sua posizione nella finanza mondiale, anche se la forma che assume sta mutando con l’ascesa della Cina e di altri paesi asiatici, nonché il relativo declino delle economie europee [13]. Più l’ambito degli affari a livello internazionale cresce al di fuori del gruppo di paesi tradizionalmente dominante, meno importanti sono le regole che questi ultimi impongono riguardo al funzionamento dell’economia mondiale.

Gli USA vedono l’ascesa della Cina non solo in termini di concorrenza sgradita, specialmente nella sfera tecnologica, ma anche – in prospettiva – come una seria minaccia al loro status egemonico, tale da dover essere affrontata nell’oggi. Altri paesi strettamente legati agli Stati Uniti, in particolare altri membri della rete spionistica ‘5 Eyes’ (Gran Bretagna, Australia, Canada e Nuova Zelanda) si trovano in una posizione simile, poiché sono stati parte integrante di un sistema che ha dominato il mondo dal 1945. Ecco perché l’ascesa della Cina diventa inevitabilmente una questione geopolitica. 

Alcuni paesi in Europa, in particolare la Germania, hanno una prospettiva diversa. Politicamente sono filo-USA, oltre ad essere economicamente cauti riguardo alla Cina. Ma vorrebbero anche disporre di un’alternativa rispetto all’affidarsi esclusivamente agli Stati Uniti, o al consenso di questi ultimi, sia che si tratti di tecnologia, energia o altre forniture vitali. Questi paesi hanno ragione di temere che gli USA siano inclini ad azioni politiche unilaterali che possono andare contro gli interessi europei. Ciò rimane valido anche con Biden, sebbene la sua amministrazione abbia fatto un passo indietro rispetto alla precedente dura presa di posizione contro il completamento del gasdotto Nord Stream 2 proveniente dalla Russia.

Non sorprende che la Cina abbia risposto alle politiche statunitensi nell’ultimo decennio e al rischio che, a causa di queste, possa essere respinta ai margini di un’economia mondiale controllata da paesi ostili [14]. Parte fondamentale di tale risposta è consistita nel portare avanti il massiccio programma di commercio e investimenti avviato nel 2013: la cosiddetta ‘Nuova via della seta’. La quale ultima coinvolge oltre 130 paesi, prevalentemente in Asia, Europa e Africa, ma estendendosi anche in America Latina. Posta di fronte alle sanzioni e manovre politiche statunitensi, la Cina sta costruendo una rete sulla quale USA e potenze alleate hanno molto meno controllo.

Questi sviluppi fomenteranno nel mondo divisioni con le quali ogni paese dovrà fare i conti. Negli anni a venire vivremo tempi interessanti, in cui le potenze guidate dagli Stati Uniti si troveranno a lottare per conservare il loro dominio.


APPENDICE

Note

  1. Questo articolo è un aggiornamento di una mia analisi risalente al settembre 2019, nella quale mostravo che l’indice del potere collocava la Cina al secondo posto. Si veda qui [https://economicsofimperialism.blogspot.com/2019/09/index-of-power-update-2018-19-china-2.html]. Il calcolo dell’indice utilizzato nel presente testo aggiunge il portafogli di asset esteri di un paese ai suoi investimenti diretti esteri, così da fornire una misura più completa del totale delle sue operazioni estere. Sono stati inoltre effettuati alcuni adeguamenti in modo da eliminare possibili doppie contabilizzazioni dei rapporti intra-cinesi tra Cina e Hong kong, trattati come paesi separati nei dati ufficiali. Si veda l’appendice dell’articolo per maggiori dettagli.
  2. Ad esempio, la Us-China Econmic and Security Review Commission ha pubblicato resoconti annuali a partire dal 2020. Quello del dicembre 2020 era di quasi 600 pagine: https://www.uscc.gov/annual-report/2020-annual-report-congress.
  3. Le fonti usate per il PIL e altri dati sono fornite nell’appendice di questo articolo. La quota statunitense dell’economia mondiale è scesa dal 30% nel 1990 al 24% nel 2021.
  4. Queste istituzioni, o i loro predecessori, il GATT per l’OMC, sono emerse dal riallineamento politico a guida USA del secondo dopoguerra. Il presidente della Banca mondiale è quasi sempre un cittadino statunitense, mentre il Managing Director del FMI è sempre europeo. L’OMC ha avuto invece un elenco di Direttori generali più diversificato. Le decisioni di ognuno di questi istituti raramente passano senza l’approvazione degli Stati Uniti, un esito agevolato nel caso del FMI da un’assegnazione dei voti che consente loro di bloccare qualsiasi azione del fondo.
  5. I numeri del PIL si possono calcolare in vari modi. Qui il valore nominale del PIL in una data valuta e usato per comparare i paesi.
  6. Nelle statistiche ufficiali standard la proprietà del 10% o più di una società in un altro paese è considerato investimento diretto estero. La proprietà di meno del 10% del capitale della società è considerato investimento di portafoglio estero. Questi sono qui tutti sommati per dare la misura del totale degli asset esteri di un paese.
  7. Le grandi società, solitamente di un paese ricco, possono anche trarre profitto dal dominio commerciale che esercitano sui produttori di altri paesi tramite le catene di fornitura, si pensi ad esempio al rapporto tra Apple e i suoi fornitori o, ancora, alle aziende della moda occidentali che fanno realizzare i loro prodotti nei paesi asiatici. Tuttavia, questi rapporti sono difficili, se non impossibili, da misurare.
  8. Uno studio, per esempio, ha mostrato come una misurazione basata sulla nazionalità potrebbe aumentare notevolmente la proprietà, USA e di altri grandi, in obbligazioni e azioni in determinati paesi. Tali partecipazioni sono sottostimate dalle consuete stime basate sulla residenza contenute nei dati ufficiali, questo perché la residenza può essere anche un paradiso fiscale. Si vedano in particolare pp. 44 e 48 di: https://bfi.uchicago.edu/wp-content/uploads/BFI_WP_2019118_Revised.pdf.
  9. Questo perché i dati qui utilizzati misurano i deflussi totali da un dato paese, che dovrebbero includere i fondi inviati ai paradisi fiscali prima di essere trasferiti altrove. Tuttavia il cosiddetto ‘round tripping’ dei fondi finalizzato all’evasione fiscale non verrebbe conteggiato adeguatamente. Ad esempio, se gli investitori statunitensi inviassero fondi a una società registrata nelle Isole Cayman, allo scopo di reinvestire in asset USA, quel primo flusso comparirebbe come asset estero degli Stati Uniti quando invece non lo è.
  10. La quota euro dei mercati valutari globali (FX) è suddivisa fra i 19 paesi membri della moneta unica in base ai rispettivi PIL. La Germania detiene la quota maggiore, seguita da Francia, Italia e Spagna.
  11. Si noti che le quote totali di tutte le valute giungono a 200% poiché vi sono due valute in ogni operazione di cambio.
  12. Meno sorprendentemente, la valuta cinese separata di Hong Kong svolge solo un ruolo minimo nelle contrattazioni FX mondiali. Il valore della sua valuta è strettamente legato a quello del dollaro USA.
  13. Si veda, Tony Norfield, The City: London and the Global Power of Finance, capitolo 9 e postfazione all’edizione in brossura, Verso, 2017.
  14. Per una trattazione di tali questioni, si vedano i mie articoli ‘Racism & Imperial Anxiety: US vs Huawei’, qui [https://economicsofimperialism.blogspot.com/2019/04/racism-imperial-anxiety-us-vs-huawei.html], 16 aprile 2019, e ‘China and US Power’, 14 luglio 2020, qui [https://economicsofimperialism.blogspot.com/2020/07/china-us-power.html], entrambi reperibili su EconomicsofImperialism.blogspot.com.

Articolo originale: https://economicsofimperialism.blogspot.com/2021/09/world-power.html

 

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