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L’invasione nazista dell’URSS attraverso il racconto di Molotov

invasione nazista dell'URSS

In occasione dell’anniversario dell’invasione nazista dell’URSS proponiamo una selezione di passi tratti dal libro di Felix Cuev “Conversazioni con Molotov“, un libro intervista diviso per argomenti delle memorie del celebre dirigente bolscevico Vjaceslav M. Molotov, che oltre al ruolo di principale responsabile degli affari esteri dell’Unione Sovietica, ricoprì anche quello di Presidente del Consiglio dei commissari del popolo dal 1930 al 1941. Fra i più stretti collaboratori di Stalin, Molotov, in queste sue memorie sotto forma di dialogo raccolte fra gli anni ’70 e ’80 del novecento, dimostra ancora un vividissimo ricordo di quei fatti che lo videro protagonista di un’epoca cruciale della storia mondiale. Dissipando i falsi miti e le inesattezze storiche che circondano i terribili avvenimenti bellici che presero il via il 22 giugno del 1941, Molotov ci restituisce un quadro veritiero, offrendoci un punto di vista in prima persona, di quelli che furono gli stati d’animo, i pensieri e le riflessioni della dirigenza bolscevica all’inizio dell’invasione, le questioni organizzative della guerra, la situazione politica del paese e del mondo, e i personaggi chiave (non soltanto sovietici) che egli ebbe modo di conoscere e trattare personalmente. 

Gli inizi della guerra

Felix Cuev (FC): Tutti i manuali di Storia sostengono che Stalin sarebbe stato sorpreso dallo scoppio della guerra.

Molotov (M): Possono dire quello che vogliono, a condizione di aggiungere che nessuno, nelle nostre condizioni, avrebbe potuto prevedere l’inizio esatto dell’invasione. Noi sapevamo che, prima o poi, sarebbe giunto il momento, ma non conoscevamo né il mese, né tantomeno il giorno.

FC: Prima dell’attacco erano state fissate già 14 scadenze.

M: Ci hanno accusato di non aver preso in debita considerazione le informazioni dei Servizi. Sì, è vero, ci avevano avvertito. Ma se avessimo prestato fede a tutte le informative, avremmo offerto al nemico il pretesto per anticipare ulteriormente l’attacco. Sapevamo che la guerra si avvicinava; conoscevamo la nostra debolezza, la necessità di una ritirata strategica di fronte all’avanzata nemica. Ma fino a dove ripiegare. Fino a Smolensk, o fino a Mosca? Se ne era discusso prima della guerra. Abbiamo fatto di tutto per ritardare l’inizio della guerra. E, così facendo, abbiamo ottenuto una proroga di un anno e 10 mesi. Certo, avremmo preferito ritardare ulteriormente le ostilità. Ancor prima della guerra, Stalin aveva sostenuto che, prima del 1943, non saremmo stati in grado di affrontare ad armi pari i Tedeschi.

FC: Eppure si parla di un rapporto dei Servizi segreti.

M: Beh! Sulla questione sono state dette le cose più disparate. Probabilmente, a forza di procrastinarne l’inizio, siamo stati presi alla sprovvista dallo scoppio della guerra. D’altronde, non bisogna fidarsi ciecamente dei Servizi. Bisogna sempre effettuare verifiche meticolose. A volte, a dare credito a tutte le soffiate, ci si può esporre a seri problemi. Senza tenere conto dei provocatori! Ci vogliono sempre riscontri incrociati ed approfonditi. A sentire certi storici poco informati, i Servizi avevano previsto tutto, alcuni infiltrati avevano già attraversato la frontiera… Non ci si può fidare di voci isolate. Eppure, ad essere troppo diffidenti si rischia di cadere nell’eccesso opposto. Quando ero Presidente del Consiglio dei Commissari del popolo, passavo buona parte della giornata a leggere i rapporti dei Servizi di informazione. Ci si trovava un po’ di tutto; e ogni giorno una nuova scadenza. Se ci fossimo fatti impressionare, la guerra avrebbe potuto cominciare molto prima. D’altronde è compito dell’agente segreto non farsi sfuggire nulla, e comunicare le sue informative a tempo. ln via generale, avevamo la certezza che la guerra sarebbe, prima o poi, scoppiata e che sarebbe stato difficile, forse impossibile, evitarla. L’abbiamo procrastinata di un anno e 10 mesi. Se Hitler avesse attaccato 6 mesi prima, nelle condizioni in cui ci trovavamo, sarebbe stato un disastro. Dovevamo prepararci al peggio, ma con circospezione; altrimenti i servizi tedeschi ci avrebbero scoperto. Siamo riusciti a prendere alcune misure, ma spesso insufficienti, e non sempre portate a termine. Si è detto che tutta la colpa è di Stalin. Eppure, c’era un Commissario del popolo alla Difesa, un capo di Stato maggiore.  

FC: Alcuni, come il maresciallo Golovanov, ritengono che lo Stato maggiore è stato preso alla sprovvista dall’inizio delle ostilità.

M: È inesatto. Sono stati commessi degli errori; ma le direttive erano di non prestar fede a tutte le voci, di verificare tutto minuziosamente. E ciò ha fatto perdere tempo prezioso.

FC: È colpa di Stalin vero?

M: In parte sì. Ma è pur vero che la sua situazione era molto delicata. Faceva di tutto per evitare al Paese una guerra.

FC: Ma, forse, Stalin ha sopravvalutato Hitler. Lo stimava più furbo e non poteva immaginare che ci avrebbe attaccato prima di aver sconfitto gli inglesi.

M: È vero. E l’opinione di Stalin era condivisa da molti, me compreso. D’altro canto, Hitler, con tutta la guerra in corso, non aveva altra scelta. Non aveva speranza di battere gli Inglesi.

FC: Oggi scrivono che Stalin si è fidato di Hitler; che, con il patto del 1939, Hitler lo ha fregato, allentando la sua vigilanza. Stalin ci sarebbe, insomma, cascato.

M: Stalin non era affatto uno sprovveduto. No, Stalin aveva ben chiaro come sarebbero andate le cose. Lui fidarsi di Hitler? Ma se non si fidava neanche dei suoi collaboratori più stretti; e tra l’altro a ragion veduta. Hitler avrebbe fatto fesso Stalin? E come no, visto che lui è stato costretto a suicidarsi col veleno, mentre Stalin si è ritrovato alla guida della metà del mondo. Dovevamo, a tutti i costi, ritardare I’attacco tedesco, ecco perché ci adoperavamo per conservare solidi legami economici con la Germania. Nessuno si fidava di nessuno. Perché, allora, Stalin si sarebbe dovuto fidare? Desideravamo ardentemente ritardare lo scoppio della guerra. Non fosse che di 6 mesi, e poi di 6 mesi ancora. Stalin si trovava in una posizione delicatissima e non poteva permettersi il lusso di sbagliare. Ma ciò che importa e che, alla prova dei fatti, egli si sia dimostrato l’unico in grado di farla franca, addirittura di riportare la vittoria. Certo, è stato commesso un errore, un errore che definirei veniale; in quanto che, noi tutti, temevamo di esporre il Paese ad una guerra, offrendo al nemico il ben che minimo pretesto. Le cose sono andate così; e noi ci siamo assunti le nostre responsabilità. Più che di errori, parlerei di debolezze; di debolezze che nascevano dall’amara consapevolezza della nostra impreparazione; era quasi scontato, in queste condizioni, che avremmo, prima o poi, commesso un errore. Ma, non per questo, ci sentiamo meno responsabili. Di errori veri e propri non ne portiamo sulla coscienza. Perché abbiamo fatto di tutto per risparmiare al Paese una guerra.

FC: Ma Hitler aveva già preso una decisione, ed era difficile ostacolare i suoi insani propositi…

M: Non potevamo mica leggergli nel pensiero. Già nel 1939 voleva scatenarci contro i suoi eserciti. Noi non chiedevamo altro che una dilazione. La guerra era alle porte, per noi era difficile trovare il tempo per prepararci a sostenerla.


In questo primo estratto, Molotov dimostra con onestà e oggettività di come, se è vero che la data precisa dell’invasione colse di sorpresa le autorità sovietiche, come del resto il mondo intero, dall’altro lato esse erano ben consapevoli che un attacco ci sarebbe stato. Come bene sintetizza Molotov, era impossibile “leggergli nel pensiero” e soprattutto dare, senza minuziose verifiche, eccessivo credito, con risposte operative conseguenti, ad ogni soffiata fornita dai Servizi segreti che, ricordiamolo, molto spesso potevano essere stati ingannati se non proprio deviati da false notizie. Ad ogni modo, il fatto che le autorità sovietiche fossero pienamente consapevoli dell’attacco che prima o dopo i nazisti avrebbero sferrato contro il primo Stato socialista al mondo, mette una pietra tombale su ogni farneticazione storiografica circa “l’alleanza Hitler-Stalin” che pretenderebbe di spiegare il patto di non aggressione come un piano strategico di spartizione dell’Europa fra due “alleati” e non, come realmente fu, un tentativo diplomatico abilissimo da parte sovietica di guadagnare tempo preziosissimo e di approfondire le proprie difese strategiche proprio in vista di un’invasione tedesca! Inoltre lo stesso Molotov, a pressanti richieste di Cuev, smentisce categoricamente ogni altro tipo di trattativa diplomatica che non fosse inerente alla difesa dei propri confini. Così Molotov parla degli incontri diplomatici avvenuti con l’entourage di Hitler e con lo stesso leader nazista: 

FC: ln Occidente sostengono addirittura che, nel 1939, assieme al Trattato siano stati siglati dei protocolli segreti.

M: Neanche per sogno.

FC: Non c’è, dunque, stato nulla di segreto?

M: No, sono solo menzogne.

FC: È comunque giunto il momento di fare luce sulla vicenda.

M: Sono d’accordo. Tanto più che non c’e alcun segreto. Hanno fatto girare queste voci solo per diffamarci. No, a mio avviso, non sussistono margini di dubbio. Ho seguito la vicenda da vicino; anzi posso dire di aver condotto l’affare di persona. Glielo posso garantire; sono chiacchiere e niente più.

[…]

FC: Nel corso di questi 17 anni di incontri, ho spesso interrogato Molotov in merito ai protocolli segreti del 1939 di cui si mormorava da tempo. Molotov ne ha sempre negato l’esistenza. Dopo la sua morte, la stampa sovietica ha pubblicato facsimili di alcuni protocolli segreti in calce ai quali Molotov aveva apposto la sua firma, in caratteri latini [diversamente da tutti gli altri documenti internazionali]. Inoltre, come mi hanno spiegato alcuni funzionari del Ministero degli Affari Esteri, questa firma non figurava al posto giusto. Come mai un diplomatico “artisticamente cesellato” (secondo l’espressione di Churchill) come Molotov avrebbe potuto commettere un errore così pacchiano? Gli originali dei protocolli non sono stati, a tutt’oggi, ritrovati, il che non ha, comunque, impedito ad Alexander Jakovlev, ex membro del Bureau politico del Comitato centrale del PCUS, di accreditare, innanzi ai deputati del popolo, la loro effettiva esistenza, garantendosi, inoltre, dopo innumerevoli tentativi, il voto favorevole degli stessi. Il fattaccio è avvenuto dopo la morte di Molotov; tuttavia, il nostro è vissuto sufficientemente a lungo per dire la sua su questa vicenda.

Mi piacerebbe davvero sapere se è esistito un Protocollo segreto allegato al patto del 1939? A quanto si dice, esso è davvero esistito e concerneva le frontiere della Polonia, della Bessarabia…

M: Il tracciato dei confini è stato reso pubblico.

FC:  Davvero non c’è altro..

M: Gliel’assicuro; sì, forse, qualche dettaglio che oggi mi sfugge, e che potremmo verificare sui documenti; comunque, nulla di segreto.

FC: Me I’assicura?

M: Sì, nessun segreto.

FC: Eppure un diplomatico mi ha accennato all’eventualità di un Protocollo aggiuntivo.

M: Non era necessario. Non ricordo più esattamente; ma il tracciato non era proprio una frontiera; direi più una linea di demarcazione; ma provvisoria…

FC: In un’altra occasione ritorno sulla questione:  Ma è vero che con Ribbentrop lei ha siglato un Patto segreto per la spartizione della Polonia?

M: No. In merito alla presunta spartizione della Polonia ci siamo limitati a ripristinare gli antichi confini nazionali. Non abbiamo violato alcun trattato precedente.

FC: Eppure, nel 1939, Hitler ha invaso la Polonia, e noi ci siamo ripresi l’Ucraina occidentale e la Bielorussia occidentale; così, la Polonia s’è dissolta ad Est come ad Ovest.

M: Non è esatto. Noi abbiamo applicato il principio delle nazionalità.

FC: In Occidente si sostiene che siamo stati noi, e non i nazisti, a fucilare gli ufficiali polacchi nella foresta di Katyn.

M: Non è vero.


In questo frammento, oltre alle ovvie e nette smentite di Molotov circa la presenza di “clausole segrete” per la spartizione dell’Europa orientale, viene alla luce anche un altro punto importante, ed è quello sollevato dallo stesso Cuev nella riflessione introduttiva e cioè il cruciale problema storiografico della manipolazione degli archivi sovietici da parte di agenti (ad esempio c’è da ricordare la commissione di mestatori di archivi arruolata da Gorbaciov) che redigevano ad arte certi documenti per attribuirli proditoriamente ai leader sovietici. In questo nello specifico, Molotov è stato fatto passare da questi novelli amanuensi interpolatori di documenti archivistici come un dilettante allo sbaraglio. Del resto l’opinione di Molotov sugli accordi e le azioni diplomatiche intraprese coi tedeschi è qui ben espressa mentre narra di un suo incontro con lo stesso Hitler

M: Hitler, a vederlo, non aveva nulla di straordinario; niente che saltasse agli occhi. Era un uomo borioso, quasi infatuato della sua stessa persona. Certo, non rassomigliava affatto all’immagine distorta creata sui libri e sulle pellicole cinematografiche. Hanno alterato le sue sembianze; ne hanno fatto una specie di matto, un maniaco. E, invece, era un individuo assai intelligente; ma la sua sicumera e la sua perversa ideologia ne facevano un essere limitato, a volte persino ottuso. Ma con me non sragionava. Quando ci siamo incontrati la prima volta l’ho lasciato parlare per tutto il tempo; e anzi lo spronavo a parlare ancora. L’unico che abbia descritto veridicamente quest’incontro è Berejkov. Gli altri si sono limitati a romanzare, lasciando briglia sciolta alla fantasia. Hitler mi disse: «È inammissibile che questi maledetti inglesi, dalle loro isolette in mezzo al mare, siano padroni di mezzo mondo e pretendano di impadronirsi dell’altra metà. È un’ingiustizia intollerabile!» Gli risposi di essere pienamente d’accordo, e che si trattava di un’ignobile pretesa: «È uno stato di cose francamente inaccettabile», gli dissi. E lui è ripartito alla carica: «Voi, ad esempio, avete diritto ad uno sbocco al mare verso il Sud. L’India e l’lran devono essere i vostri obiettivi». Ed io: «È un’idea interessante. Nei nostri panni come gestireste la cosa?». Lo lascio farneticare per fargli scoprire le carte. Mi illustra con enfasi il suo proposito di liquidare l’Inghilterra, ribadendo il consiglio di puntare all’Iran e all’lndia. Era un povero illuso e si sbagliava di grosso se credeva di fregarci. D’altronde non ha mai capito un granché della politica sovietica. Voleva Ianciarci in un’avventura pericolosa, per poi colpirci alle spalle mentre i nostri eserciti sarebbero stati impegnati altrove. Voleva metterci contro gli Inglesi per avere campo libero. Solo uno scemo si sarebbe fatto ingannare. Nel corso del nostro secondo incontro ho affrontato la questione più spinosa: «Certo, le sue offerte sono invitanti; ma, quando Ribbentrop e venuto a Mosca ci eravamo accordati sulla necessità di stabilire frontiere sicure. Ma voi, contravvenendo ai patti, avete dislocato le vostre truppe in Finlandia e in Romania!» E lui mi risponde: «Sono solo dettagli». Non bisogna semplificare; ma, affinché stati socialisti e capitalisti non entrino in conflitto è necessario fare patti chiari, fissando nettamente le rispettive sfere di influenza. Con Ribbentrop ci eravamo accordati in merito alle frontiere polacche. Si era deciso che non vi fossero truppe straniere, né in Finlandia, né in Romania? Perché continuare a mantenervi i vostri eserciti ? Sono minuzie . Si, ma come si può pensare di affrontare le grandi questioni quando non ci si riesce ad accordare e ad agire di concerto sui dettagli. Non demordeva; ed io neanche. Cominciava ad innervosirsi. Ma, io tenevo il punto, e alla fine l’ho spuntata.


Ancora una volta emerge la realtà dei fatti e la natura degli atteggiamenti dell’Unione Sovietica in tutte le trattative diplomatiche con la Germania intercorse alla fine degli anni ‘30. Se Hitler e la dirigenza nazista premevano affinché l’URSS attaccasse gli inglesi per poi avere campo libero per attaccare con facilità i sovietici impegnati, dall’altro si nota come l’unica vera e reale preoccupazione dell’URSS fosse quella non di conquistare il mondo ma semplicemente di stabilizzare e mettere in sicurezza i propri confini che all’epoca erano, in molti luoghi, nelle mani di forze ostili al paese socialista: dalla Romania fascista alla Finlandia etc. Ad ogni modo, a corollario dei miti suddetti, cioè quelli dell’impreparazione, degli errori grossolani, vi è quello che, come una litania, recita: “E se non avessero liquidato tutti i loro migliori comandanti? E’ colpa di Stalin e delle purghe che l’URSS si trovò inizialmente così a mal partito!”. E di solito tutte queste forme di lagnanze prive di spessore puntano il dito su di un uomo, indicato come il perfetto candidato salvatore della patria: il maresciallo Tukhachevskij, fucilato per alto tradimento durante le purghe (e con giustificato motivo) e adesso pianto come il mancato uomo della provvidenza. Inoltre il racconto di Molotov fa un bel ritratto delle ambizioni di alcuni personaggi sordidi, come per esempio Krusciov, oppure accecati dal proprio ego (come Zhukov) e pronti in prima fila a scaricare ogni propria responsabilità su Stalin ormai morto. In merito così si esprime Molotov.

FC: Vedete, è opinione diffusa che se, al posto degli incompetenti come Pavlov ci fosse stato Tukhacevskij…

M: Tukhacevskij, era un uomo assai pericoloso. In una situazione così drammatica, chissà se sarebbe rimasto fedele fino alla morte. Lui era un destro e in queIl’epoca il pericolo maggiore veniva proprio dalla destra. E lui era di destra fin nelle midolla, anche se non voleva ammetterlo. l trotskisti, gridando ai quattro venti che non ce l’avremmo fatta, che saremmo stati sconfitti, si erano smascherati da soli. Ma i destri, gli amici dei kulaki, erano più prudenti; contavano, inoltre, sul sostegno di migliaia di simpatizzanti tra le masse contadine e tra la piccola borghesia. Negli anni ’20 gli onesti dirigenti di Partito si contavano sulle dita di una mano. E questa esigua schiera diminuiva di giorno in giorno, infettata da agenti pericolosi: i destri, i nazionalisti, l’Opposizione operaia. È straordinario che Lenin abbia potuto resistere a tanto, ma, poi, lui è morto. I suoi nemici sono sopravvissuti, e si sono gettati come belve affamate su Stalin. Krusciov ne è la prova. Lui era un destro, ma si atteggiava a leninista: «Papa Stalin! Siamo pronti a sacrificare la nostra vita per te; li stermineremo tutti, vedrai!» . E, invece, come il gatto è venuto a mancare, il topo ha ripreso le danze.

[…]  

M: Krusciov ha sfruttato, per i suoi loschi interessi, la testimonianza di Churchill. Costui sostiene di aver avvisato Stalin. Ma Stalin ha già confutato queste insinuazioni: «lo non avevo alcun bisogno di avvertimenti.  Sapevo bene che la guerra era alle porte, ma speravo di riuscire a scongiurarla per altri 6 mesi». Ma malgrado ciò lo hanno accusato di chissà quali crimini; lui che faceva di tutto per evitare al Paese una guerra. Ma è ovvio. D’altronde erano in gioco gli interessi di tutta la nazione. Stalin non pensava mai a se stesso, ma si preoccupava per le sorti del Paese. Era nel nostro interesse, nell’interesse del popolo ottenere un’ulteriore dilazione di qualche mese. 

FC: Eppure, in quel periodo, Churchill non aveva alcun interesse a danneggiarci .

M: Sì, ma come fare affidamento sulla sua parola? Lui che aveva fatto di tutto per aizzarci contro i tedeschi!

FC: L’ambasciatore Schulenburg aveva avvisato Dekanozov del prossimo inizio del conflitto.

M: Proprio avvisato, no, aveva lasciato intendere. E non era stato il solo. Ma, come fidarsi di lui. C’erano tante voci in circolazione e tutt’aItro che attendibili! Certo non tenerne conto sarebbe stato, comunque, un errore.

FC: Però, se aveste dato disposizioni ai militari…

M: No! Così avremmo fatto il loro gioco. 

FC: Perché? Dovevamo allora lasciarli attaccare mentre eravamo disarmati. Abbiamo addirittura fatto partire alcuni soldati in congedo. 

M: Non eravamo affatto disarmati, anzi eravamo all’erta. Del resto, nessuno può lavorare per un anno di seguito senza prendersi un congedo. In quelle condizioni era assolutamente impossibile sottrarsi all’effetto sorpresa. Bisognava lo stesso prepararsi al peggio. Noi russi siamo capaci di grande eroismo, ma non riusciamo a mantenere a lungo il sangue freddo e la tensione giusta. I tedeschi sono molto più pratici. Gli dai un ordine e Io eseguono. Noi, invece, abbiamo bisogno di tempo per raggiungere la giusta concentrazione, per risultare davvero efficaci. Manchiamo di metodo; d’altronde è la nostra natura contadina a venire fuori in queste circostanze. La fatica, le sbornie, la mietitura. Certo, l’effetto sorpresa ha avuto la sua brava importanza. A tanti anni di distanza la situazione non è cambiata un granché. D’altronde ce I’abbiamo nel sangue. E il marxismo-leninismo non ci può fare niente. Esso sostiene l’azione offensiva quando si presentino le condizioni, altrimenti l’attesa. 

FC: Prima di riuscire a mobilitare il nostro potenziale, ci hanno fatti neri.

M: Sì, purtroppo è andata così. Non abbiamo ancora imparato a sfruttare tutte le nostre enormi possibilità. Tutto ciò richiede tempo, ma, allora, ne avevamo davvero poco. Stalin ha la fama di essere stato un presuntuoso, arrogante e eccessivamente sicuro di sé. Ma è solo una calunnia. L’attacco a sorpresa ci ha spiazzato, ma non poteva essere altrimenti. Oggi, difficilmente sentiamo una versione attendibile dei fatti. D’altronde, quelli che hanno facoltà di parlare hanno tutto l’interesse a discreditarci.

FC: Scrivono che la fede in Stalin si fondasse esclusivamente sul culto della personalità, che lui stesso aveva imposto. È vero, no?

M: In parte sì. Siamo tutti esseri umani. Ma non e questo il punto. Stalin si è prodigato per il popolo ed è questo che conta. In quelle condizioni, nessuno avrebbe saputo fare meglio di lui; e non solo durante la guerra, ma prima e dopo. Il libro di Zukov è zeppo di affermazioni contestabili e, a volte, assolutamente false. Racconta che, poco prima dell’inizio delle ostilità, avrebbe informato Stalin in mia presenza di pericolose manovre dell’esercito tedesco alla frontiera; aggiungendo che il sottoscritto gli avrebbe allora domandato: «Ma come ? Credete davvero all’eventualità di un’aggressione tedesca?». È vergognoso. Farmi passare come l’ultimo dei fessi; l’unico a non comprendere quello che tutti sembravano aver capito! [Molotov si mette, allora, a balbettare dall’indignazione]. Stalin, aggiunge Zukov, era sicuro di poter scongiurare la guerra. Ma se si addossano tutte le colpe su Stalin, bisogna anche attribuirgli tutti i meriti per la costruzione del socialismo e per la vittoria in guerra. Ma, come Lenin non ha fatto la Rivoluzione da solo, così Stalin non era l’unico membro del Politburo! Ciascuno si assuma allora le sue responsabilità! Evidentemente, all’epoca, la posizione di Stalin era molto delicata. Certo, sarebbe falso sostenere che non sapevamo nulla delle intenzioni nemiche. E, infatti, Kirponos e Kuznetsov avevano già allertato le truppe, ma non Pavlov… i militari, come sempre, sono delle teste di turco. Noi eravamo in evidente inferiorità rispetto ai tedeschi. Perciò, avremmo dovuto serrare di più le fila. Ma sarebbe stato, innanzitutto, compito dei capi militari: Zukov, che godeva di ottima fama, presiedeva lo Stato maggiore generale. Timoshenko, che non era da meno, era commissario del popolo alla Difesa.

FC: Sì, ma i militari gettano tutta la colpa su Stalin, perché, per la più infima questione, bisognava attendere i suoi ordini.

M: È ovvio. Giocano allo scaricabarile. Eppure, nella notte tra il 21 e il 22 giugno, Kuznetsov, ministro della Marina, aveva dato ordine di prepararsi ad un attacco aereo. Zukov no. Kuznetsov si vanta di aver preso questo provvedimento di propria iniziativa. Vorrà dire che aveva afferrato la situazione meglio dello Stato maggiore generale. Da lì, era partito l’ordine a non affrettarsi, a verificare scrupolosamente Ie voci che davano per imminente la guerra. Ci sono stati dei ritardi, lo ammetto, ma le cose non sarebbero andate diversamente.

FC: A prestar fede a Nekric, Stalin pensava che Hitler si Iimitasse a minacciarlo per estorcergli importanti concessioni politiche ed economiche.

M: Perché non avrebbe dovuto pensarlo ? Hitler era un ricattatore di professione. Da lui potevamo attenderci ogni sorta di estorsione. Ogni minimo attrito offriva il pretesto per ricatti e frodi di ogni tipo.

FC: L’opinione prevalente nei testi specialistici è che Stalin non credeva che Hitler ci avrebbe mai attaccato.

M: E quanto scrivono, in effetti. Vassilevskij racconta gli inizi della guerra in maniera assai fantasiosa. Ho letto I’inizio del libro di Berejkov.

FC: Un buon libro, no?

M: Mica tanto.

FC: Però interessante.

M: Interessante, sì. Ho letto solo le prime 100 pagine. Vi ho già trovato almeno due tesi discutibili. La prima è che Stalin era dell’avviso che Hitler non avrebbe attaccato nel ’41. È troppo facile attribuire ad un morto una qualsivoglia opinione «Stalin credeva, Stalin pensava, Stalin diceva…» . Come se potessimo Ieggergli nel pensiero! Sarebbe bello poter sempre affrontare i momenti difficili nelle migliori condizioni. Speravamo di guadagnare ancora qualche mese. Mi sembra legittimo no ? Ma niente autorizza a sostenere che Stalin escludesse un prossimo inizio delle ostilità. In secundis, lui tira in ballo un comunicato della TASS, che precede di una decina di giorni I’inizio della guerra. Vi si legge: «l tedeschi non prendono alcuna iniziativa e manteniamo normali relazioni» . A mio avviso, era un’idea di Stalin. Ma, Berejkov coglie la palla al balzo per prendersela con la sprovvedutezza di Stalin. E, invece, si trattava di un espediente diplomatico. Anche se non ha sortito alcun risultato utile, va preso per quello che era, e non per l’ennesima dimostrazione della stoltezza dei dirigenti sovietici. La nostra iniziativa era finalizzata a calmare le acque che sembravano agitarsi; era, infatti, nostro interesse non offrire alcun pretesto al nemico. Al benché minimo movimento di truppe, Hitler avrebbe sbraitato: «Guardate, stanno dislocando i loro eserciti. Ecco le prove delle loro manovre!». Dicono che non avevamo truppe sufficienti per proteggere i confini. La realtà è, invece, che, come le truppe avessero cominciato a muoversi verso la frontiera, ne avrebbero approfittato per attaccarci! ln quei giorni si badava anche ai minimi particolari. Non c’era alternativa. Ecco perché trovo inaccettabile che ce ne facciano una colpa. Il comunicato TASS era la nostra ultima chance. Se avessimo potuto impedire che la guerra iniziasse in estate, sarebbe stato difficile cominciarla in autunno. Fino ad allora, eravamo riusciti a ritardarla con espedienti diplomatici, ma Dio solo sapeva fino a quando sarebbe stato possibile. Rimanere in silenzio avrebbe facilitato il compito del nemico. E così, quel fatidico 22 giugno, Hitler si è mostrato agli occhi del mondo come un aggressore che non rispettava i patti. Noi, invece, ci siamo ritrovati con nuovi alleati.

FC: Alexander Nekric scrive che Stalin sperava di aprire un tavolo negoziale con Hitler.

M: Sì, è vero. Dovevamo pur provarci! Certo, trattare con quei cannibali significava esporsi a forti rischi. Ma, nel fermo proposito di non capitolare, era perfettamente lecito tentare.

FC: Dicono che Stalin avrebbe fatto un netto distinguo tra Hitler e la lobby militare tedesca. Egli avrebbe ritenuto che una guerra sarebbe stata possibile solo a patto di una forzatura operata dai militari e contro la volontà di Hitler che si sarebbe rifiutato di infrangere gli accordi. Ma non credo che fosse realmente l’opinione di Stalin.

M: Vorrei ben vedere. Sono supposizioni gratuite, al solo scopo di infangare Stalin. Non era mica uno sprovveduto. Bisognava, comunque, sondare il terreno.

L’attacco all’URSS

Ancora, infine, delle riflessioni sul 22 giugno del ‘41, la data dell’attacco all’URSS. Qui, inoltre, Molotov respinge al mittente le accuse di un comando sovietico, con Stalin in testa, in preda al totale scoramento e pronto a lasciare Mosca in balia dei nazisti. Ennesimo leitmotiv delle ricostruzioni fantasiose che l’ex Ministro degli Esteri giudica prive di fondamento.

FC: Interrogo Molotov: Ho riletto le Memorie di Zukov e non mi è ben chiaro come andarono effettivamente le cose quel fatidico 22 giugno 1941. Egli scrive: Verso mezzanotte, il generale Kirponos, comandante delle regione militare di Kiev, riferisce che un altro disertore tedesco ci aveva avvertito che le truppe tedesche avrebbero scatenato l’offensiva verso le 4 del mattino. Tutto induceva a credere, scrive Zukov, che le truppe tedesche si stessero muovendo verso la frontiera. Alle 0.30, abbiamo avvisato Stalin. Lui ci ha chiesto se fossero state allertate le unità militari. Gli rispondo affermativamente. […] Dopo la morte di Stalin, hanno sostenuto che, nella notte del 22, alcuni comandanti e i loro Stati maggiori, senza preoccuparsi di nulla, dormissero tranquillamente o, peggio, se la spassassero. È quantomeno inesatto […] Alle 3.07, I’ammiraglio Oktiabrski, comandante della flotta del Mar Nero, mi chiama per radio per annunciarmi: «I servizi di sorveglianza antiaerea ci informano che un gran numero di aerei non identificati si avvicinano dal mare…». Ho chiesto all’ammiraglio: «Che pensate di fare? Li accoglieremo al suon delle raffiche della contraerea» . Alle 3.30, il generale V. Klimovskikh, capo di stato maggiore della regione militare dell’Ovest, ci informa di un raid dell’aviazione tedesca sulle città della Bielorussia. Il Commissario del popolo alla Difesa mi ordina di chiamare Stalin al telefono. Eseguo, ma non mi risponde nessuno. Continuo a telefonare senza sosta. E così siamo arrivati alle 4 del mattino circa.

M: Ma no. Ci siamo riuniti prima! Molto prima ! Vuole solo farsi bello. Lui solo avrebbe capito tutto, mentre noi brancolavamo nel buio.

FC: Proseguo la lettura di Zukov: ln fine mi risponde la voce assonnata del capo della sicurezza. Lo prego di chiamarmi Stalin. Dopo qualche minuto, lui giunge al telefono. Gli espongo la situazione e gli chiedo l’autorizzazione a rispondere all’attacco nemico. Ma Stalin tace. Sento solo il suo respiro. «Ma mi capisce?» . Silenzio. In fine Stalin mi domanda: «Dov’è il Commissario del popolo? Sta comunicando via radio con i comandanti della regione militare di Kiev. Presentatevi tutt’e due al Cremlino. Dica a Poskrebycev di convocare tutti i membri del Politburo».

M: Era prima. 

FC: Continuo a leggere Zukov: Alle 4, contatto di nuovo Oktiabrski. Mi annuncia, con voce pacata, che l’attacco nemico è stato respinto. La flotta è rimasta indenne, ma alcune abitazioni in città sono state danneggiate. […] Alle 4.30 del mattino tutti i membri del Politburo che erano stati convocati riescono finalmente a riunirsi. Il Commissario del popolo e il sottoscritto sono ammessi alla riunione. Stalin, pallido, era seduto alla sua scrivania. Teneva in mano la pipa accesa: «Bisogna convocare d’urgenza l’Ambasciata tedesca» dice. In Ambasciata ci rispondono che il conte von Schulemburg faceva espressa richiesta di essere ricevuto per una comunicazione urgente. V. M. Molotov viene incaricato di ricevere l’ambasciatore. Frattanto, il generale Vatutin, vice capo di Stato maggiore, ci informa che le truppe Tedesche, dopo violenti tiri di artiglieria, sono passati all’offensiva su numerosi settori a Nord-Ovest e a Ovest. Poco dopo, V.M. Molotov ci informa, con fare concitato: «Il Governo tedesco ci dichiara guerra». Stalin, allora, si lasciò cadere sulla sedia in preda allo sconforto. Ecco che siamo arrivati alle 5 del mattino.

M: È inesatto. Zukov omette di dire che Stalin diede ordine di seguire da vicino le operazioni e di tenerlo costantemente informato. Potevano diffondersi voci incontrollate e vere e proprie provocazioni. Tutto andava verificato attentamente. […]

M: Zukov riscrive la storia per passare da protagonista. Ma le cose sono andate in tutt’altra maniera.

FC: Non so se sia il caso, ma nessuno sa queste cose meglio di lei. Insomma, è vero che lei avrebbe detto aII’ambasciatore: «Ma cosa abbiamo fatto per meritarci tutto ciò?».

M: È pura fantasia. Credo queste scemenze le abbia scritte il signor Alexander Werth. Ma lui che ne sa, che non c’era? Perché, oltre al sottoscritto e al suo interprete, erano presenti solo 2 tedeschi. Dove mai sarà andato a pescarla questa stupidaggine? […] 

FC: Leggo iI rapporto di un incontro tra il generale d’armata Ctemenko e i lettori del suo libro di memorie; Ctemenko ha detto: «In quelle condizioni, era impossibile battere il nemico senza credere in Stalin»

M: Esatto.

FC: «In proposito, spiega Ctemenko, parto dall’idea che il nostro popolo è troppo intelligente per non comprendere da solo le cose. Ecco perché, riguardo alla figura e al ruolo di Stalin, mi sono limitato ad esporre i fatti come sono andati. Una cosa, però, la posso dire: Stalin conosceva l’arte della guerra, non solo la strategia, ma anche la tattica, e non superficialmente, ma con cognizione di causa. Ha condotto con esperienza tutte le operazioni di guerra. Citerò qualche esempio. Quando i tedeschi arrivarono a Mosca, nell’ottobre del ’41, la situazione era davvero critica. Molti organi di Governo, compreso lo Stato maggiore, erano stati trasferiti in luogo più sicuro. Con i tedeschi alle porte, la situazione era particolarmente grave a Ovest. Tutte le unità chiedevano rinforzi. Noi non ne avevamo, e ci limitavamo a sostituzioni marginali. ln quel periodo Stalin disponeva di 5 armate al completo, equipaggiate con armamenti moderni. Zukov, che dirigeva le operazioni davanti a Mosca, reiterava le richieste di aiuto. Ma Stalin si rifiutò sempre di concedere anche un solo uomo, intimandogli di resistere con le unghie e con i denti. Pensavamo che commettesse un grave errore e invece, a dicembre, contro le truppe tedesche stremate, Stalin scagliò le sue unità fresche. l Tedeschi furono respinti lontano da Mosca. Solo allora abbiamo compreso che Stalin era un grande stratega e un fine tattico. Nel periodo più critico, il quartier generale di Zukov era situato in prossimità della linea di difesa. Zukov chiese a Stalin l’autorizzazione a spostarlo più al sicuro, verso la stazione Bielorussia. Stalin rispose che, se Zukov si fosse ritirato, lui avrebbe occupato il suo posto.

«II ruolo di Kruscev durante la guerra ? Lui era membro del consiglio militare del fronte. Nient’altro da aggiungere. Tra i membri del Consiglio v’erano alcune figure veramente notevoli, Zdanov ad esempio. Ma Kruscev non si è distinto in nulla. Che lui ed Eremenko abbiano elaborato chissà quali piani geniali per schiacciare i tedeschi, non mi risulta affatto.

«Stalin in preda al panico nei primi giorni di guerra? Non credo. Almeno, non era questa l’impressione che si coglieva allo Stato maggiore. D’altronde, la qual cosa avrebbe fortemente pregiudicato l’esito della guerra. Tra i libri di Rokossovski e di Zukov, ho senz’altro preferito quello del primo. Non che il testo di Zukov sia cattivo, ma, in molti passi, manca di obiettività; pertanto, mi rifiutai di curarne la recensione. Quando le cose al Fronte andavano per il verso giusto, era tutto merito del suo genio. Quando, invece, andavano male, era tutta colpa di Stalin. 

«Scoppiò un’insurrezione a Varsavia. Il sangue dei patrioti polacchi scorreva per le strade della città. Era stata provocata da Mikolajczik per costituire un governo prima dell’entrata delle truppe sovietiche a Varsavia, così da mettere l’URSS davanti al fatto compiuto. Come venimmo a sapere dell’insurrezione, preparammo una contromossa che, purtroppo, non sortì i risultati auspicati. Zukov si dichiara, nel suo libro, totalmente estraneo ai fatti, gettando la colpa delI’insuccesso su Stalin. Ma, da controlli che effettuai personalmente presso gli archivi dello Stato maggiore, risulta proprio la sua firma in calce all’ordine. Evidentemente, Zukov aveva mentito».

M: Zukov ha una visione ristretta delle cose. Non tiene mai in debito conto l’aspetto politico. Ctemenko vede le cose molto più lucidamente. Ma il suo libro non lo hanno mai voluto pubblicare. Chissà perché? […]

FC: Corre voce che, nel ’41, sia stata messa ai voti nel Politburo una risoluzione per abbandonare Mosca assediata. È vero?

M: Non lo dica neanche! È una lurida menzogna. In una situazione del genere, l’avremmo considerata un alto tradimento. Se anche la proposta fosse stata respinta dalla maggioranza, la minoranza favorevole sarebbe stata fucilata.

FC: Pare che Zukov fosse il Iatore di una tale proposta.

M: Lui poteva proporre quello che voleva, come attesta la testimonianza di Golovanov. Ma da lì a mettere ai voti una tale ignominia ce ne correva ! […]

FC: Gli chiedo se è vero che, nell’ottobre del ’41, Stalin abbia preso in considerazione l’ipotesi di allontanarsi da Mosca.

M: Sciocchezze! Non ci pensava proprio a lasciare Mosca. lo mi sono recato per 2 o 8 giorni in missione a Kuibycev e vi ho installato Voznessenski in qualità di responsabile. Stalin mi aveva detto: «Vai a controllare la situazione. Ma ritorna a Mosca il prima possibile» .


Fonte: Felix Cuev, Conversazioni con Molotov, Cleomene III Edizioni, 2004

Disponibile anche online https://www.resistenze.org/sito/ma/di/bm/mdbmji03-021774.htm

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