Le imponenti proteste in corso ad Haiti contro il presidente Jovenel Moïse, ultimo di una grottesca sequela di marionette manovrate dagli Stati Uniti, non sembrano suscitare eccessivo interesse nei media occidentali, solitamente assetati di attivismo “pro-democrazia” purché agiti le piazze di paesi invisi agli USA. New York Times e CNN, per citare solo due esempi fra i tanti possibili, al novembre del 2019 si sono soffermati, rispettivamente, oltre trecento e quattrocento volte su Hong Kong, a fronte di sole sette e ventuno su Haiti. Tenendo conto che la repressione nel paese caraibico ha visto un numero di morti e feriti, circa 42 e 86 al 1 novembre sempre del 2019, di gran lunga superiore a quello registrato durante le proteste nella città cinese per lo stesso periodo, risulta palese la parzialità politicamente orientata di questi due campioni della libera informazione [1].
Contestato vincitore in un processo elettorale a dir poco controverso trascinatosi dal 2015 al 2016, Moïse, candidato della stessa formazione del suo predecessore Michel Martelly, il Parti Haïtien Tèt Kale (PHTK), sostiene che il suo mandato termina a febbraio del 2022. A fargli da sponda, quello strumento di Washington che è l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), per voce dello screditato segretario generale Luis Almagro, fresco del suo ruolo nel golpe in Bolivia del 2019, e l’amministrazione Biden tramite il portavoce del Dipartimento di Stato [2]. Un ampio fronte costituito da partiti di opposizione, movimenti sociali urbani e rurali, sindacati, associazioni professionali e religiose, nonché istituzioni come il Consiglio superiore del potere giudiziario, ritengono invece che il mandato di Moïse sia scaduto il febbraio di quest’anno. Anche gli Stati Uniti sembrano ultimamente inclini, limitandosi però alle dichiarazioni di facciata, a prendere le distanze dal loro protetto, in seguito alla “revoca e nomina unilaterale di giudici della Corte di cassazione e gli attacchi ai giornalisti” come si legge in un tweet dell’ambasciata USA ad Haiti [3].
La presidenza di Michel “Sweet micky” Martelly
Una cosa è chiara, i media monopolisti sono organi di quello stesso imperialismo USA che ha sostenuto e sostiene, sia pure in modo oscillante, l’attuale presidente haitiano – fatto quest’ultimo del tutto evidente ai manifestanti radunatisi diverse volte fuori dall’ambasciata statunitense a denuncia della continua ingerenza di Washington – così come molti dei suoi predecessori. Tornando indietro nel tempo gli esempi sono molteplici, a partire da Michel Martelly detto Sweet Micky – personaggio d’avanspettacolo fattosi strada ai tempi del regime dei Duvalier, del quale è sempre stato un apologeta – presidente dal 2011 al 2016, appoggiato dall’allora Segretaria di Stato Hillary Clinton, la quale si spendeva personalmente per rimetterlo in corsa al secondo posto a scapito di Jude Célestin, spinto dal Presidente uscente Rene Préval; tra i difetti di quest’ultimo, alla sua seconda presidenza e non certo un rivoluzionario, la tiepidezza riguardo ad aiuti e investimenti esteri, nella gestione dei quali la Clinton Foundation, specie nel caso della Haiti post-sisma del 2010, ha sempre avuto le mani in pasta. Una volta resuscitato anche grazie all’intervento dell’OSA, Martelly, pronunciatosi a favore di “qualsiasi cosa agevolerà le esportazioni […] e il settore privato”, vinceva il ballottaggio contro Mirlande Manigat; la quale, lungi dall’essere un’estremista di sinistra, si era tuttavia espressa per una gestione degli aiuti meno subordinata alle ONG [4].
Nel 2012 Martelly – dopo aver nominato primo ministro una figura vicina ai Clinton, Garry Conille, poi rimpiazzato dall’uomo d’affari Laurent Lamothe – presenziava insieme ai suoi padrini statunitensi all’inaugurazione del Caracol Industrial Park; iniziativa sponsorizzata dall’ex coppia presidenziale, spinta dall’ONU già nel 2009 e agevolata dal suo allora segretario generale Ban Ki-Moon che, sempre quell’anno, nominava Bill Clinton inviato speciale delle Nazioni Unite per Haiti. Finanziavano il progetto il governo USA, il gigante sudcoreano del tessile Sae-A Trading Co. Ltd e l’Inter-American Development Bank; promosso come fiore all’occhiello della ricostruzione del paese, è stato sviluppato senza tener in minimo conto l’impatto ambientale, gonfiando le previsioni di quello occupazionale, nonché cacciando centinaia di contadini dai terreni individuati per l’edificazione [5].
Il terremoto del 2010 e gli interessi economici degli USA
Si è fatto cenno al devastante terremoto del 2010 – 7,0 Mw, un numero di vittime che si aggira, a seconda delle fonti, tra un minimo di 100.000 e un massimo di 300.000, un conteggio dei feriti simile, circa un milione di sfollati, oltre novantamila e centomila, rispettivamente, tra edifici distrutti e danneggiati – che ha costituito il tragico preludio dell’ascesa di Martelly. L’intervento degli Stati Uniti nell’emergenza è stato un misto di militarizzazione e affarismo, con l’invio di truppe letteralmente impadronitesi dell’aeroporto di Port-au-Prince, creando non poche difficoltà all’arrivo degli aiuti; mentre l’USAID, dal 2010, ha garantito qualcosa come 2,13 miliardi di dollari, tra contratti e sovvenzioni, andati in larga parte a un pugno di società USA come Chemonics e Development Alternatives Inc. Le Chemonics, coinvolta nel programma Feed the Future lanciato dall’amministrazione Obama – e mirante, almeno a parole, ad affrontare la questione della sicurezza alimentare – , è stata oggetto di critiche da parte di associazioni contadine haitiane, come riportato dalla non certo ostile agli aiuti USA OXFAM, e l’intero programma per quanto concerne il paese caraibico è stato duramente valutato dalla stessa USAID [6].
Ma è proprio l’associazione dell’amministrazione statunitense col concetto di sicurezza alimentare ad apparire grottesca: basti pensare alle pressioni esercitate su Haiti, dalla presidenza Clinton, miranti a far abbattere le tariffe sulle importazioni di riso USA, da decenni massicciamente sussidiato come altre colture, in continuità con le politiche dei precedenti inquilini della Casa bianca. Clinton ne 2010 ammetteva, bontà sua, che forse tale mossa aveva favorito gli agricoltori dell’Arkansas ma non altrettanto la sicurezza alimentare del paese caraibico che, quello stesso anno, rappresentava il secondo mercato di esportazione del riso statunitense; mercato in larga parte nelle mani di società come Tchako S.A., affiliata di un’azienda, la Riceland Foods – con sede proprio nello stato dell’ex presidente – beneficiaria di generosi sussidi del governo USA. Se Haiti è uno dei principali importatori di riso statunitense, negli ultimi decenni ha visto espandere la produzione e l’esportazione nel tessile, in particolar modo per conto di marchi e rivenditori di abbigliamento USA e canadesi come Hanes, Gildan, Gap e Walmart, esportando soprattutto negli Stati Uniti; nel 2013 il Worker Rights Consortium registrava consistenti e diffuse violazioni della normativa sul salario minimo nelle fabbriche di questo settore – definendolo un “massiccio furto di salario” – compreso il già citato Caracol Industrial Park che doveva simboleggiare la rinascita del paese [7].
La presidenza di René Preval
Nel 2009 l’ambasciata statunitense auspicava “un più visibile e attivo coinvolgimento” da parte del presidente Preval rispetto al disegno di legge sull’aumento del salario minimo – da 1,79 a 5 dollari al giorno – facendo eco alle preoccupazioni dell’Associazione delle industrie haitiane e dell’USAID circa l’impatto sull’industria, specie quella tessile, e sull’Hemispheric Opportunity trough Partnership Encouragement Act (HOPE II), approvato dal congresso USA nel 2008, finalizzato al “progresso verso un’economia di mercato […] l’eliminazione delle barriere al commercio USA” e, prosegue l’USAID a spregio del ridicolo, “proteggere i diritti dei lavoratori”. Preval, nonostante le manifestazioni in favore dell’aumento – monitorate con apprensione dall’ambasciata USA – andava incontro al padronato, con un compromesso che lasciava fuori dall’aumento a 5 dollari i lavoratori del settore tessile, il cui salario minimo veniva fissato a 3 dollari al giorno. Nel 2006 i diplomatici statunitensi, in combutta con Chevron ed ExxonMobil, avevano esercitato pressioni ancor più esplicite, ma in questo caso infruttuose, per dissuadere il presidente haitiano dal coinvolgere il paese nell’iniziativa venezuelana PetroCaribe, mirante a fornire prodotti petroliferi a condizioni preferenziali ai paesi membri; e del resto il rapporto con Preval è esemplare dell’approccio degli Stati Uniti verso paesi che considerano di loro proprietà, approccio ben reso dalle parole dell’allora ambasciatrice Sanderson: “gestire Preval continuerà ad essere impegnativo […] ma riuscirci è cruciale per il nostro successo e quello di Haiti” [8].
Preval, un volta trovatosi ad affrontare il sisma e la successiva ricostruzione, esprimeva disappunto per l’estromissione del governo haitiano a favore di Nazioni Unite e ONG, con gli USA a farla da padroni, sostenendo che “tutti i milioni che stanno arrivando ad Haiti al momento stanno finendo nelle mani delle ONG”; tutto ciò in un clima di sussiego paternalistico da parte dei funzionari ONU e delle organizzazioni non governative, così descritto dal giornalista haitiano Wadner Pierre: “continuano ad umiliare e discriminare i poveri e rispettabili cittadini haitiani, dando per scontato che siano pericolosi, violenti o gente selvaggia e che non sa niente”. Un ruolo, quello delle organizzazioni non governative, talmente pervasivo nel paese caraibico – in particolare nelle campagne e nelle baraccopoli dove hanno in buona parte sostituito lo stato – da spingere a parlare di “repubblica delle ONG”, basti pensare che nel 2006-2007 su 91 milioni di dollari di bilancio pubblico per l’agricoltura ne gestivano ben 85. A giudizio del politologo haitiano Sauveur Pierre Étienne – di certo non tenero nei confronti delle classi dirigenti del suo paese, e sostenitore di un ruolo positivo delle ONG, purché integrate in “una politica globale […] appoggiata dallo Stato” e con la “partecipazione attiva della popolazione” – alcune di queste organizzazioni “agiscono per il rafforzamento della dipendenza di Haiti rispetto ai grandi paesi capitalisti” [9].
La seconda presidenza di Aristide
ONG come Reporters sans frontères, finanziata dallo statunitense International Republican Institute (IRI), National Coalition for Haitian Rights (NCHR), sostenuta dalla Canadian International Development Agency (CIDA) e la britannica Christian Aid, insieme a gran parte dei media, hanno avuto una responsabilità non secondaria nel delegittimare la seconda presidenza di Jean-Bertrand Aristide agevolandone la deposizione. Fatto ancor più vergognoso il coinvolgimento di organizzazioni nominalmente operaie, come Batay Ouvriye che, mentre accusava il movimento di Aristide Fanmi Lavalas di corruzione, compromessi col capitalismo e l’imperialismo, non esitava ad accettare finanziamenti dalla National Endowment for Democracy (NED) – sostenuta in modo bipartisan dal Congresso USA – tramite l’American Federation of labor and Congress of Industrial Organizzazion (AFL–CIO), in continuità con la lunga storia di supporto da parte di quest’ultima alle politiche imperialiste statunitensi.
Eletto nel novembre 2000, Aristide, una volta entrato in carica a febbraio 2001 si trovava a fronteggiare gli attacchi di Convergence Démocratique, coalizione spalleggiata dagli USA che non esitava a invocare l’intervento diretto di Washington, nonché del Gruppo 184, costituito da industriali, banchieri, intellettuali e funzionari di ONG. Attacchi cui si aggiungevano gli assalti compiuti da ex militari con base nella Repubblica Dominicana – Aristide durante la sua prima presidenza, nel 1995, aveva sciolto l’esercito, di fatto un’eredità della prima occupazione statunitense protrattasi dal 1915 al 1934 – inquadrati nel Front pour la Libératiojn et la Reconstruction (FLRN). Agli attacchi dei paramilitari – nel dicembre 2001 questi assaltavano il Palazzo nazionale, sede della presidenza – si aggiungeva la violenza di bande armate fomentate dai gruppi di opposizione menzionati, i quali avevano anche il controllo di un buona parte dei media locali intenti a minimizzare le violenze degli oppositori ad Aristide e ingigantire quelle dei suoi sostenitori, con i mezzi di informazione internazionali a fare da megafono; in questo clima pesante, protrattosi nei due anni successivi, gli Stati Uniti gettavano benzina sul fuoco esplicitando chiaramente la loro soluzione, ossia l’estromissione del presidente haitiano.
Il 29 febbraio 2004 Aristide veniva caricato su un aereo da agenti USA e portato nella Repubblica Centrafricana, in quello che non senza ragione definiva un “rapimento geopolitico […] terrorismo camuffato da diplomazia”, nonostante i successivi dinieghi dell’allora Segretario di Stato Colin Powell, il cui rapporto con la verità, giova ricordarlo, è sempre stato assai disinvolto. A marzo di quello stesso anno truppe Statunitensi occupavano per la terza volta Haiti, nel frattempo le forze paramilitari si abbandonavano alla violenza contro i sostenitori del presidente deposto, violenza cui non rimanevano estranei, o come spettatori complici o come suoi diretti agenti, gli stessi marine USA; venivano inoltre rilasciati esponenti di punta del regime dei Duvalier e si procedeva a installare come presidente ad interim, in un omaggio di facciata alla costituzione haitiana, il presidente della cassazione Boniface Alexander, mentre a primo ministro veniva nominato un fedelissimo di Washington, l’economista Gerard Latortue. Assunto quest’ultimo il potere, si poneva fine al programma di alfabetizzazione varato da Aristide, i grandi proprietari terrieri, appoggiati da paramilitari, recuperavano terre distribuite ai contadini nell’ambito della riforma agraria portata avanti dal Fanmi Lavalas, un’ondata repressiva – in aggiunta a licenziamenti in massa nel settore pubblico – si abbatteva su sindacati e associazioni contadine. Nel giugno 2004, i marines USA venivano rimpiazzati dalla United Nation Stabilization Mission in Haiti (MINUSTAH), formalmente con l’obiettivo di stabilizzare il paese, creando le condizioni per tenere elezioni e assicurare il rispetto dei diritti umani, nei fatti configurandosi come una prosecuzione dell’occupazione USA sotto altro nome [10].
Haiti: oltre un secolo d’ingerenza USA e di resistenza
Ci si è limitati, nei paragrafi precedenti, a richiamare sinteticamente alcune vicende e protagonisti della lunga ingerenza statunitense ad Haiti, concentrando l’attenzione sul ventennio che ha preceduto l’ascesa di Jovenel Moïse; sulle pagine di Ottobre si è già avuto modo di rievocare quel grandioso evento che è stata la Rivoluzione Haitiana, per tanto – prima di concludere – si farà solo qualche accenno agli eventi del Novecento nel paese caraibico. È già stata menzionata la prima occupazione USA, durata diciannove anni dal 1915 al 1934, giustificata pretestuosamente con gli scontri interni, il contesto militare della Prima guerra mondiale e accompagnata dalla consueta retorica razzista nei confronti degli haitiani; motivata in realtà dal consolidamento dell’egemonia statunitense nei Caraibi, in linea con altre aggressioni imperialiste nella regione (Nicaragua, Repubblica Dominicana, Isole Vergini, Cuba, ecc.), dagli interessi di società come l’Haitian-American Sugar Company (HASCO) e dall’imporre il controllo del sistema finanziario USA su quello haitiano. Non certo subita passivamente – bensì contrastata da contadini, operai, studenti, giornalisti, professionisti, intellettuali e parte della politica, cui si aggiunse l’ampia solidarietà manifestata dagli afroamericani – l’occupazione si lasciò dietro come eredità la gendarmerie e la Guardia nazionale, embrioni delle Forces Armees d’Haiti (FADH), nonché un contratto venticinquennale per la Standard Fruit & Steamship Company nel campo dell’industria bananiera.
I pur timidi tentativi da parte di Dumarsais Estimé, presidente dal 1946 al 1950, di recuperare un minimo di controllo sull’economia del paese, furono sufficienti a farlo bollare come comunista dalle società statunitensi HASCO e Société Haïtiano-Américaine de Développement Agricole (SHADA); allontanato da un colpo di stato militare, veniva rimpiazzato da un ufficiale conservatore e solidamente anticomunista, Philippe Magloire, ben disposto ad assecondare gli interessi economici statunitensi, spianando la via all’ascesa di François “Papa Doc” Duvalier. Inizialmente visto con sospetto dagli USA, Duvalier riusciva ad assicurarsene l’appoggio dal 1959, anche tramite l’addestramento fornito dai marine alla famigerata milizia Volontaires de la Sécurité Nationale, più nota come Tonton Macoutes; alla sua morte nel 1971 gli succedeva il figlio Jean-Claude “Baby Doc”, non meno brutale del padre – le vittime del loro regime vengono stimate tra 30.000 e 50.000 – e altrettanto, se non più, allineato agli Stati Uniti. Caduto nel 1986, in seguito ad un vasto movimento di rivolta partito nelle aree rurali, Baby Doc fuggiva in Francia in un areo USA, mentre Washington cercava di colmare il vuoto in combutta con l’esercito, al fine di contenere il movimento popolare Fanmi Lavalas raccoltosi attorno al prete e teologo della liberazione Jean-Bertrand Aristide, il quale nelle elezioni del 1990 batteva col 67 percento il candidato sponsorizzato dagli Stati Uniti, l’ex funzionario della Banca Mondiale Marc Bazin.
Insediatosi nel 1991, Aristide veniva spodestato lo stesso anno da quell’esercito che si era prefissato di smantellare e che, insieme ai paramilitari spalleggiati dagli USA del Front pour l’Avancement e le Progrès Haitien (FRAPH), scatenava la repressione contro il Fanmi Lavalas e scardinava i programmi economici del presidente deposto, uno schema, come si è visto, ripetuto durante la sua seconda presidenza. Nel frattempo, Aristide, in esilio negli Stati Uniti, veniva sottoposto a incessanti pressioni per renderlo più malleabile rispetto agli interessi di Washington, e dei suoi clienti nel paese caraibico, in cambio di un suo ritorno; ritorno che si concretizzava nel 1994, a seguito dell’accettazione delle condizioni poste come il non conteggio degli anni persi concludendo il mandato nel 1995, riuscendo tuttavia a ottenere qualche risultato positivo: l’agognata dissoluzione dell’esercito, per quanto non implementata sino in fondo, l’aumento del salario minimo, la riforma agraria, la costruzione di numerose scuole e l’assistenza da parte di Cuba, sopratutto in campo medico [11].
1) https://docs.google.com/spreadsheets/d/11HKhkg1bZ_XTyFofnnYHi0DteBLYaI47Mh8kzm_LO8w/edit#gid=0; https://www.ohchr.org/en/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=25247&LangID=E; https://apnews.com/article/25aaacdf85c9497f929302e0d8d24b6a; https://www.scmp.com/news/hong-kong/law-and-crime/article/3037601/elderly-hong-kong-man-clings-life-after-hit-head-brick.
2) https://cepr.net/haiti-election-primer-part-1-timeline-of-key-events/; https://cepr.net/haiti-elections-primer-part-2-presidential-candidates-and-their-parties/; https://www.nlg.org/new-report-biased-international-observers-failed-haiti-2015-neutrality/; https://cepr.net/breakdown-of-preliminary-election-results-in-haiti/; https://www.voanews.com/americas/despite-pressure-haiti-president-wont-resign-feb-7-ambassador-tells-voa; https://www.oas.org/en/media_center/press_release.asp?sCodigo=E-053/20; https://cepr.net/a-tale-of-two-elections-2/; https://www.state.gov/briefings/department-press-briefing-february-5-2021/.
3) https://www.voanews.com/americas/haiti-opposition-agrees-plan-replace-president-moise-february-7; https://www.lavocedellelotte.it/2021/02/03/ancora-proteste-ad-haiti-sciopero-generale-contro-il-governo/; https://ilmanifesto.it/haiti-moise-non-molla-e-lopposizione-nomina-un-presidente-ad-interim/; https://twitter.com/USEmbassyHaiti/status/1362050699593474050.
4) https://twitter.com/madanboukman/status/1196897407755333634; https://twitter.com/madanboukman/status/1359569514619428872; http://www.haiti-liberte.com/archives/volume4-22/MichelMartelly_Stealth_Duvalierist.asp; https://www.politico.eu/article/the-king-and-queen-of-haiti/; https://www.npr.org/2010/12/15/132051764/haiti-on-edge-amid-disputed-election-results?t=1613647571427; https://cepr.net/documents/publications/haiti-oas-2011-10.pdf; https://www.laprogressive.com/haiti-michel-martelly-election/; http://content.time.com/time/world/article/0,8599,2031412,00.html.
5) https://www.caribjournal.com/2012/10/21/haiti-to-officially-open-caracol-industrial-park-joined-by-bill-hillary-clinton/; https://bostonreview.net/world/jake-johnston-haiti-earthquake-aid-caracol; Marylynn Steckley & Tony Weis (2016): Agriculture in and beyond the Haitian catastrophe, Third World Quarterly, DOI: 10.1080/01436597.2016.1256762; http://genderaction.org/publications/caracol.pdf.
6)https://web.archive.org/web/20130507101448/http://earthquake.usgs.gov/earthquakes/world/most_destructive.php; https://www.theguardian.com/world/2010/jan/17/us-accused-aid-effort-haiti; https://www.huffpost.com/entry/haiti-again_b_428105; Justin Podur, Haiti’s New Dictatorship. The Coup, the Earthquake and the UN Occupation, Pluto Press, 2012, p. 139; https://georgewbush-whitehouse.archives.gov/government/lucke-bio.html; https://www.cepr.net/where-does-the-money-go-eight-years-of-usaid-funding-in-haiti/; https://issuu.com/oxfamamerica/docs/oxfamcloseup-fall_2013; https://oig.usaid.gov/sites/default/files/2018-06/sarc_03312016.pdf.
7) https://www.pambazuka.org/economics/how-united-states-crippled-haiti%E2%80%99s-domestic-rice-industry; https://www.coha.org/haiti-research-file-neoliberalism%e2%80%99s-heavy-hand-on-haiti%e2%80%99s-vulnerable-agricultural-economy-the-american-rice-scandal/; https://www.democracynow.org/2016/10/11/bill_clinton_s_trade_policies_destroyed; https://s3.amazonaws.com/oxfam-us/www/static/media/files/haiti-rice-policy-backgrounder.pdf; https://oec.world/en/profile/country/hti#trade-products; https://www.workersrights.org/wp-content/uploads/2016/02/WRC-Haiti-Minimum-Wage-Report-10-15-13-5.pdf.
8)https://wikileaks.org/plusd/cables/09PORTAUPRINCE553_a.html; https://wikileaks.org/plusd/cables/09PORTAUPRINCE583_a.html;http://www.sice.oas.org/TPD/GSP/Sources/USAID_HOPEII_e.pdf; Jonathan M. Katz, The Big Truck That Went By. How the World Come to Save Haiti and left Behind a Disaster, St. Martin’s Press, 2013, p.144; https://wikileaks.org/plusd/cables/06PORTAUPRINCE692_a.html; https://wikileaks.org/plusd/cables/06PORTAUPRINCE1960_a.html; https://wikileaks.org/plusd/cables/07PORTAUPRINCE78_a.html; https://wikileaks.org/plusd/cables/09PORTAUPRINCE575_a.html.
9) https://www.ijdh.org/2010/03/topics/housing/groups-jockey-for-role-in-haiti-revival/; http://wadnerpierre.blogspot.com/2010/06/haiti-post-earthquake-discrimination.html; https://www.cgdev.org/blog/haiti-doomed-be-republic-ngos; http://www.ipsnews.net/2008/03/haiti-once-vibrant-farming-sector-in-dire-straits/; Jenny M. Smith, When the Hands Are Many. Community Organization and Social Change in Rural Haiti, Cornell University Press, p. 27; Sauveur Pierre Étienne, Haïti. L’invasion des ONG, Les Éditions du CIDIHCA, 1997, pp. 236, 238.
10) https://web.archive.org/web/20110604214211/http://www.counterpunch.com/barahona08012006.html; https://zcomm.org/znetarticle/canadas-growing-role-in-haitian-affairs-part-i-by-anthony-fenton/; Peter Hallward, Damming the Flood. Haiti and the Politics of Containment, Verso, 2010, pp. 72, 119, 259-262, 182-189, 192; https://www.ned.org/about/; Kim Scipes, AFL-CIO’s Secret War against Developing Country Workers. Solidarity or Sabotage?, Lexington Books, 2010; Podur, 2012, pp. 13-14, 21, 41-68; Jeb Sprague, Paramilitarism and the Assault on Democracy in Haiti, Monthly Review Press, 2012 pp. 107-117, 126-145; https://www.nytimes.com/2004/02/11/world/haitian-forces-battling-uprising-report-retaking-3-towns.html; http://www.haitiaction.net/News/hap6_29_4.html.
11) In italiano, oltre al classico di C. L. R. James, I giacobini neri, Derive Approdi, 2015, e disponibile una ricostruzione più recente in Jeremy Popkin, Haiti. Storia di una rivoluzione, Einaudi, 2020; Podur, 2012, pp. 13-22; Hans Schmidt, The United States Occupation of Haiti. 1915-1934, Rutgers University Press, 1995, pp. 3-18, 42-63 https://www.aaihs.org/reflecting-on-the-u-s-occupation-of-haiti-a-hundred-years-later/; Matthew J. Smith, Red & Black Haiti. Radicalism, Conflict, and Political Change, 1934-1957, University of North Carolina Press, 2009, p. 29, 113, 150-155, 164; Sprague, 2012 pp. 29-34; https://libcom.org/library/haiti-under-gun-allan-nairn;