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Il Portogallo degli eredi di Salazar

di Alberto Ferretti

Il 4 ottobre 2015, in Portogallo, la sinistra vinse a mani basse le elezioni legislative: i Socialisti presero il 32,3 %, il Bloco de Esquerda il 10,2% e la CDU (Comunisti e verdi) il 8,2%, mentre la coalizione conservatrice si fermava a un misero 36%. La novità politica consisteva nel fatto che le forze di sinistra avevano un accordo di governo in tasca. Tutto era pronto insomma per il primo governo socialista\comunista in Europa, ma la paura fu tale che il Presidente Anibal Cavaco Silva si rifiutò, semplicemente, di affidare l’incarico di governo nonostante il risultato elettorale.

« Tale governo è un pericolo per l’interesse nazionale, i mercati finanziari e per Bruxelles. Questo è il peggior cambio radicale dalla nascita della nostra democrazia. Dopo aver portato avanti un così oneroso programma di assistenza finanziaria e fatto grossi sacrifici, è mio dovere, ne ho il potere costituzionale, fare tutto il possibile per evitare che segnali errati vengano inviati ai mercati ».

Il socialdemocratico Cavaco Silva preferì dunque affidare l’onere di formare il governo alle forze conservatrici di Pedro Passos Coelho, in netta minoranza – dando così il via a un periodo di instabilità politica.  Tuttavia la manovra semi-eversiva fallì, poiché la destra non è riusci a strappare la fiducia al Parlamento – il Presidente e i suoi accoliti contavano in una spaccatura del partito socialista che non avvenne. Nello stallo che seguì il Presidente fu obbligato il 24 novembre ad affidare l’incarico di governo ai socialisti, trasformando in evento drammatico ed eccezionale ciò che il voto aveva pacificamente richiesto.

Tuttavia, in nome del classi capitaliste detentrici del potere economico, Cavaco Silva pose invalicabili paletti, al fine sabotare fino all’ultimo minuto del suo mandato la possibilità di misure radicali, necessarie come il pane per spezzare la gabbia anti-operaia costruita dai trattati UE in Europa. Egli pretese il rispetto di sei condizioni che Costa – primo ministro socialista – avrebbe dovuto soddisfare se avesse voluto ricevere il mandato di formare un governo. Tra queste condizioni: il rispetto delle regole di bilancio della Zona Euro e il rispetto degli impegni del Portogallo in seno alla NATO.

La rivincita del Capitale: le elezioni presidenziali

Non tutto era perduto per la destra che oltre ai buoni auspici del Presidente disponeva di nuove armi e occasioni da sfruttare: come puntare tutta la sua influenza sulle elezioni presidenziali di Gennaio 2016, appuntamento politico a causa del quale Cavaco Silva non poté indire nuove elezioni legislative a Novembre non trovando altra via che affidare l’incarico alla sinistra. Missione compiuta: il 24 gennaio il candidato delle destre Marcelo Rebelo de Sousa vinse le elezioni con il 52,7%, contro il 22,3% al candidato di area socialista Antonio Sampaio de Novoa e il 10% all’esponente del Bloco de Esquerda Marisa Matias. 

Chi è il nuovo presidente? I media ovviamente hanno fatto il loro buon lavoro di disinformazione nella forma di gossip superficiale riportando titoli che accreditavano l’idea di una star della televisione che accedeva alla carica di Presidente del Portogallo. Marcelo Rebelo de Sousa è infatti animatore e commentatore celebre nel Paese, accreditando così la vulgata post-moderna – in realtà puro pensiero neo-liberale spacciato intenzionalmente come neutrale – della società civile spoliticizzata che elegge i suoi rappresentanti nelle istituzioni contro la vecchia politica.

Invece, ben prima di essere una celebrità televisiva, Marcelo Rebelo de Sousa è un golden boy della dittatura di Caetano Marcelo, successore di Salazar. Un pargolo di una delle famiglie possidenti più influenti dell’Ancien Régime. Figlio di un dirigente fascista a suo tempo deputato, sotto-segretario di Stato, governatore coloniale e infine Ministro, Marcelo Rebelo de Sousa è dunque un erede influente degli ex capibastone salazaristi. Dalla tenera età dei suoi 20 anni è intimo di tutti i circoli di potere capitalistici che spolpano da sempre il Portogallo, in questa veste di insider ebbe molto lucidamente a dire: « i comportamenti politici sono press’a poco gli stessi in dittatura che in democrazia ».

Nazionalista fervente e fanatico, durante le rivolte studentesche del ’69 partecipa alle manifestazioni di sostegno alla dittatura, infiltra i movimenti studenteschi e fornisce informazioni sui partecipanti agli scioperi ai ministeri competenti. Questa opera di infame mandò alla tortura decine di scioperanti, e gli fece guadagnare un posto nel gabinetto dell’Educazione guidato allora da membri dell’Opus Dei.

La sua ambizione di diventare Primo Ministro fu sempre frustrata, egli continuò tuttavia la sua attività politica, i suoi corsi universitari e la sua carriera di commentatore tv, fino all’accessione odierna al supremo ufficio, grazie alla potenza mediatica ed elettorale dei circoli dominanti di cui fa parte, in grado di manipolare lo Stato per i loro interessi.

Lezioni portoghesi per i lavoratori europei

Questa vicenda illustra chiaramente la continuità tra le classi dirigenti dei regimi fascisti e quelle dei regimi capitalisti democratici, dovuta alla natura capitalista dei fascismi continentali. Lo sfinimento e avvilimento elettoralistico delle rivendicazioni social-operaie, il sabotaggio padronale e i ricatti borghesi hanno prodotto il risultato voluto: due mesi di instabilità per infine dare l’incarico a un governo limitato e sotto ricatto.

Il sistema è dunque sotto chiave, impossibile da riformare: fate vincere le forze comuniste ed esse saranno impossibilitate a governare, verrano sfibrate dagli attacchi, frustrate da margini di manovra ristretti impostegli arbitrariamente, sabotate in ogni atto e messe sotto pressione dai media, infine costrette a gettare la spugna e, screditate così agli occhi dell’opinione pubblica, non potranno che perdere le elezioni anticipate che i guardiani del capitale si affretteranno eventualmente a indire. Questa macchina infernale che è lo Stato borghese risulta impossibile da far funzionare per gli interessi dei lavoratori.

Oggi la classe dirigente post Salazarista normalizzerà quell’eccesso di follia che ha portato una parte “irresponsabile” del popolo portoghese a chiedere una svolta di sinistra, che si arrischiava addirittura a governare conformemente al mandato popolare e non a quello dei mercati e del capitale. Un esempio da manuale di come spuntare le armi della sinistra senza ricorrere alla violenza armata e alla guerra civile, come sono adusi fare quando esauriscono i metodi legali non violenti.

Tale risulta essere lo stato della democrazia borghese oggi in Europa: un’attività politica addomesticata, un esercizio quasi ininfluente di mobilitazione amministrativa, atta a saturare lo spazio mediatico-culturale con la retorica della democrazia, dei diritti e della libertà per coprire la realtà concreta della dittatura borghese. Così come il Portogallo è in mano agli eredi di Salazar, l’Europa intera è in mano ai dirigenti eredi delle forze fasciste dappertutto al governo prima della sconfitta del ’45, che stanno ritornando in prima linea e si stanno riprendendo tutto quello che 50 anni di lotta di classe sostenuta e diretta dal movimento comunista internazionale era riuscita a strappare alle classi dominanti continentali.


Sul nuovo Presidente portoghese consultare l’articolo “Un président héritier de la dictature”, pubblicato originariamento su Publico – settimanale portoghese -e ripreso dal Courrier International – n. 1318 4-10, febbraio 2016

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