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I prigionieri politici della Corea del Sud: una biografia

Prigioniero politico in Corea del Sud

Presentiamo qui l’introduzione, tradotta dall’edizione francese, della biografia di Hur Young-chul, prigioniero politico in Corea del Sud, uscita nel 2014. Speriamo sia in grado di aprire un confronto sulla situazione coreana che vada al di la delle volgarità anticomuniste e dei pregiudizi veicolati dai media e dagli storici borghesi, al fine di contribuire a rispondere alla domanda: dova sta la vera democrazia in Corea, sopra o sotto il 38° parallelo?


Questo manhwa (fumetto coreano) è basato sull’autobiografia di Hur Young-chul. Hur Young-chul non ha il profilo tipico dei grandi uomini di cui si scrivono le biografie. Comunista puro e duro in un’epoca in cui il comunismo era temuto più di ogni cosa in Corea del Sud, ha passato la sua vita in prigione, senza mai rinnegare le proprie convinzioni. Il racconto della sua vita ci commuove.

Incarcerato a 35 anni, ne aveva 71 alla sua liberazione. Avrà dunque passato 36 anni dietro le sbarre, all’incirca la stessa durata dell’occupazione giapponese in Corea (1910-1945). Sono numerosi i film e i libri, come il Conte di Montecristo o Papillon, che raccontano la vita di prigionieri di lunga durata. Ma l’eroe di Papillon ha passato solo 11 anni in prigione e Montecristo 14. I prigionieri politici coreani invece battono tutti i record di durata di detenzione. Kim Seon-myeong, ad esempio, è rimasto 45 anni in prigione ! Tragedie di questo genere esistono solo nella Corea divisa.

Quando Hur Young-chul fu liberato negli anni 1990, il mondo era talmente cambiato che fu per lui difficile riconoscerlo. Come lo si vede nelle prime pagine del manhwa, egli era diventato straniero in patria, incapace di telefonare o di districarsi da solo nella metro. Anni dopo, libererà la sua parola per raccontare la storia della sua vita, oggi adattata sotto forma di fumetto da Park Kun-woong.

Dopo il fallimento del movimento per l’indipendenza del primo marzo 1919, alcuni resistenti coreani cominciarono a perdere speranza. Vedendo che il Giappone occupava la Manciuria e attaccava la Cina, la maggior parte dei nazionalisti coreani rinunciarono a resistere e in gran numero collaborarono coi giapponesi. Nel corso delgli anni 1930, quasi tutti gli intellettuali e nazionalisti coreani si erano ritirati dal movimento per l’indipendenza. La resistenza restava nelle mani dei soli socialisti, operai e contadini.

Dopo la liberazione nel 1945, dei comitati popolari si stabilirono rapidamente un po’ dappertutto al fine di ricostruire il paese. Fin dalla prima metà degli anni 40 i socialisti avevano preparato il terreno, convinti della sconfitta futura del Giappone. Il socialismo conobbe dunque una certa popolarità, non perché le persone ne capissero per intero l’ideologia, ma perché apprezzavano i socialisti, i quali avevano condotto il movimento per l’indipendenza durante l’occupazione giapponese. Ma il governo militare di occupazione USA volle restaurare il paese a modo suo, almeno nel Sud della penisola, senza tener conto dei desideri del popolo coreano. Nel farlo, gli USA si servirono dei pro-giapponesi. Alla fine della Seconda Guerra mondiale, mentre molti paesi ripresero il loro cammino verso l’indipendenza, solo in Vietnam e in Corea i collaborazionisti dell’imperialismo USA presero il potere. Come risultato, i due paesi erano divisi da governi stranieri.

Il popolo coreano intraprese allora una difficile lotta politica contro i pro-giapponesi che avevano il controllo dell’economia del paese con il sostegno degli USA. Nel 1948, il governo Sud-coreano creò la lega di Bodo e vi arruolò di forza migliaia di comunisti e simpatizzanti di sinistra per rieducarli, promettendgli di dimenticare il loro passato in cambio della fedeltà al regime Sud-coreano. Ma all’inizio della Guerra di Corea, centinaia di migliaia di aderenti alla lega di Bodo furono giustiziati dall’esercito, dalla polizia e dai gruppi paramilitari anticomunisti. Questo massacro, così come le numerose tragedie legate al sistema di rieducazione forzata degli anni  1970 nel Sud, costituisce un esempio delle efferatezze commesse dal Giappone prima e riprodotte poi dai pro-giapponesi. Il Giappone aveva avuto intenzione di giustiziare infatti tutti prigionieri politici coreani appena fosse entrata in guerra contro l’URSS, ma ne era stata impedita dalla sconfitta. Furono questi detenuti politici lasciati in eredità dal Giappone che il governo del Sud arruolò nella lega di Bodo, realizzando finalmente la soluzione finale concepita dai giapponesi. Questi terribili avvenimenti da una parta non fecero che rinforzare le convinzioni dei prigionieri politici ancora in vita, dall’altra contribuirono a mantenerli in prigione per lunghi anni ancora.

Nato nel 1920, Hur Young-chul è ormai il più anziano di questi resistenti, ne restano ormai non più di un centinaio. All’epoca dell’occupazione giapponese, la maggior parte non conosceva nulla del socialismo, ma Hur Young-chul, che aveva cominciato a lavorare molto giovane, si era interessato agli ideali socialisti durante un soggiorno in Giappone. Fu lì che iniziò a sviluppare una visione più profonda del mondo del lavoro. Ispirato da questa nuova ideologia, rientrò nel suo villagio natale dopo la liberazione e aderì al Partito dei Lavoratori della Corea del Sud, militando alla testa dell’Unione democratica dei giovani Coreani. Dato che l’oppressione esercitata contro i militanti si faceva sempre più pesante, decise di fuggire al Nord. Allo scoppio della guerra di Corea, ritornò al Sud e fu eletto presidente del comitato popolare del distretto di Bu-an. Dopo la battaglia d’Incheon, trovò di nuovo rifugio al Nord dove fu formato alla scuola centrale del Partito comunista – attuale università Kim Il-sung. Fu in seguito nominato vice-presidente del comitato popolare del distretto di Jangpung, poi inviato come agente segreto in Corea del Sud nel luglio 1954, dove fu arrestato un anno più tardi.

Come il titolo della sua autobiografia suggerisce (Perso nelle tormente della storia), la vita di Hur Young-chul è piena di peripezie. Questo testo dimostra come le grandi correnti della storia possono lasciare delle cicatrici indelebili nell’esistenza di un individuo. Quello che Hur Young-chul ha vissuto non si trova di solito nei manuali di storia, o allora solo molto parzialmente. Per la società sud-coreana deve essere stato molto difficile accettare le verità contenute in quest’opera. Ma c’è in questo racconto una forza che nessuno ha potuto negare. Molti compagni di Hur Young-chul hanno dato la vita per difendere le idee che egli racconta nel suo libro.

Consiglierei ai lettori di accettare di essere disturbati da quest’opera. Solo chi è capace di affrontare verità scomode può infatti denunciare e risolvere le contraddizioni della nostra società.

I governanti pro-giapponesi e i dittatori che li hanno seguiti alla guida della Corea del Sud erano esseri senza scrupoli che seguivano unicamente i propri interessi. Essi non avevano considerazione alcuna per il popolo, non conoscevano alcuna ideologia. Essi forzarono i socialisti a rinnegare i loro ideali e pentirsi. I simpatizzanti della democrazia furono arrestati e costretti a fare mea culpa. Fu in questa Corea del Sud che i prigionieri politici, per lungo tempo sepolti dall’oblio, ritornarono sulla scena pubblica. La libertà di coscienza e di pensiero erano un lusso che esisteva solo sulla carta, nella Costituzione. Ora, la riapparizione di questi prigionieri politici ha permesso di rendersi conto dell’importanza di tale libertà nella storia della Corea contemporanea.

In seguito alla dichiarazione congiunta Nord-Sud del 15 giugno 2000, la maggior parte dei prigionieri politici detenuti in Corea del Sud sono passati al Nord. La forza che gli aveva permesso di mantenere intatte le proprie convinzioni nonostante le privazioni e le umiliazioni risiedeva nella certezza che esisteva una Repubblica popolare democratica al di là del 38° parallelo. Coloro che decisero di trasferirsi al Nord sono stati accolti come eroi, mentre chi è rimasto al Sud conduce una vita miserabile. Hur Young-chul fa parte di questi ultimi. Egli è rientrato nel suo villaggio natale, dove vivono sua moglie e i suoi figli.

Venti anni ormai sono passati dalla sua liberazione. Oggi, Hur Young-chul vuole di nuovo incontrare i suoi lettori attraverso questo manhwa. Forse è proprio per condividere questa sua storia che ha deciso di rimanere al Sud.


Je suis communiste, Park kun-woong, Editions Cambourakis 2014. Nella foto all’inizio dell’articolo la copertina dell’edizione francese. Introduzione a JE SUIS COMMUNISTE a cura di Han Hong-gu, Professore all’università Sungkonghoe.

Traduzione e introdizione a cura di Alberto Ferretti

One Reply to “I prigionieri politici della Corea del Sud: una biografia”

  1. Corea: tre buone ragioni per una bomba – Ottobre says: 6 Gennaio 2016 at 20:00

    […] Quello che non viene mai detto è che nonostante la distruzione di cui fu vittima, la RDPC degli anni ‘60-‘70 aveva costruito un’economia e una società infinitamente più ricca, sviluppata e progredita di quella del Sud, il quale era avviluppato da una dittatura fascista pro-giapponese sotto tutela USA, le cui vestigia permangono ancor oggi: divieto di attività sindacale (3), divieto di aborto, liquidazione dei partiti di sinistra, un governo in mano alla figlia del dittatore fascista dell’epoca, eletta col 90% dei voti, prigionieri politici liberati da poco, molti dei quali rifugiati al Nord. […]

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