Parte seconda. Compito politico arduo ma fondamentale, che i comunisti sono chiamati a svolgere ancor prima della presa del potere: inserirsi nella sfera ideologica del nemico di classe e cercare di ampliare lo spettro di influenza sociale del punto di vista dei lavoratori, i quali sono la maggioranza, ma il cui discorso organico è inaudibile e ultraminoritario. All’inizio sarà “solo” contropropaganda (cercare di contrastare il flusso di disinformazione cosciente costruito dagli apparati mediatici della borghesia), così come al livello economico sarà “solo” agitazione sindacale (cercare di contrastare il flusso di decreti anti operai e attacchi alle conquiste economico sociali), per poi svilupparsi in qualcosa di più coerente e unitario, in grado di esercitare capacità d’attrazione su larghi strati sociali, e costruire il consenso intorno alla prospettiva socialista.
Questo “qualcosa” è l’attività rivoluzionaria che abbraccia sempre più ampi aspetti del reale e dell’immateriale, attraverso la connessione tra la pratica e la teoria, al contempo sul piano economico, sociale, politico, in vista del superamento dello stato di cose presenti. Esso consiste nel rovesciamento del sistema sociale di sfruttamento, l’epoca in cui il proletariato occidentale inizierà a costruire la propria egemonia – come è stato fatto in passato nei paesi del socialismo sovietico e come fa oggi nelle repubbliche popolari nate dalle lotte di liberazione socialiste. Lo farà ribaltando l’ordine sociale imperial-capitalista, cioè il rapporto dominante/dominato, non solo dal punto di vista economico – che ne è presupposto fondamentale, ossia il controllo sociale e la proprietà collettiva del credito e della produzione – ma anche dal punto di vista ideologico, senza la quale la rivoluzione resta a metà strada: inizierà cioè a produrre e infondere la propria cultura autonoma alla società intera.
Tuttavia oggi, nell’epoca controrivoluzionaria della restaurazione in Occidente – in quanto privato di agibilità reale, di controllo sul proprio ambiente socio-economico, costretto a lavorare per alimentare i profitti e il discorso egemonico altrui per sopravvivere, con vasti strati di esso confinati nella segregazione sociale e urbana, nei segmenti inferiori del mercato del lavoro supersfruttato, nell’inedia della disoccupazione indotta, non rappresentato nelle istanze politiche, impossibilitato a far sentire la propria voce se non attraverso un meccanismo politico costruito e funzionale a perpetuare la voce di altri – il proletariato europeo e americano è completamente sottomesso.
Subalterno all’insieme di gruppi sociali i quali hanno occupato il terreno economico e culturale con mezzi adeguati alle loro ambizioni politiche, per via dell’alleanza (anche internazionale) tra minoritari che ha permesso di allargare la loro influenza ben al di là della loro (ristretta) base sociale di riferimento. Hanno fatto egemonia sui vastissimi strati della popolazione, si sono costituti in blocco sociale dominante, benché non scevro di conflitti e contraddizioni interne, che ha isolato gli elementi attivi e coscienti delle classi subalterne, e quindi le classi subalterne stesse.
Siamo in presenza di una determinazione al contempo sociale, politica e psicologica, che opprime le classi lavoratrici dei centri imperialisti. Una cappa di piombo generatrice di frustrazione diffusa in vastissimi settori sociali, la quale sfocia nella disillusione generale, nella vaga comprensione che il sistema capitalistico non funziona più, ma che sia “impossibile” liberarsene. Disfattismo e/o cieca ribellione, rabbia e incostanza, demoralizzazione, sono gli aspetti psicologici più diffusi allora tra le masse.
Un presupposto per la liberazione dalla dittatura esercitata dal ceto politico referente di questi gruppi sociali è che si inizi a intaccare seriamente il monopolio stabilito dalle classi dominanti sulla coscienza politica collettiva; prioritario è cercare di scalfire il privilegio esclusivo che attraverso le loro organizzazioni hanno stabilito sulla comprensione della realtà nazionale e internazionale, su nozioni quali “società civile”, “diritti umani”, “libertà” e “democrazia”, sulla guerra e sulla pace: insomma su tutti gli aspetti centrali della contemporaneità. Per spezzare il monopolio della parola effettiva – cioè ascoltata e credibile – stabilito da una minoranza organizzata della società sulla maggioranza disgregata.
Che fare?
Esiste un frammentato movimento rivendicativo in Italia, lotte sociali diffuse prodotte delle difficoltà materiali e delle aspirazioni frustrate di quella parte di umanità che non si sente appagata, anzi si sente oppressa, dall’ordine sociale vigente. Esso si esprime nella pratica delle varie organizzazioni – sindacati, partiti, associazioni, organi di stampa, movimenti sociali – che formano la rete della società civile e politica (per quanto debole/indebolita) di riferimento dell’insieme delle classi lavoratrici subalterne dei centri imperialisti.
Serve un nucleo organizzativo in grado di essere ricettacolo delle rivendicazioni popolari. i comunisti delle varie organizzazioni italiane hanno una grande responsabilità. Occore riconoscere il passaggio a una nuova fase, una fase in cui, se si vuole finalmente incidere sulla realtà nazionale, è indispensabile avere una voce forte e autonoma in grado di imporre il discorso delle masse al livello di massa.
I vari piccoli media di riferimento dei differenti gruppi, partiti e associazioni – pur di grandissima utilità in un periodo di ritirata per alimentare la scintilla del pensiero marxista-leninista, con un seguito importante sulla rete e con contatti in costante crescita – per come sono configurati non sono tuttavia minimamente in grado di competere con la grande stampa nazionale borghese sempre più rigidamente controllata e discriminatoria. Ora, è vitale elevarsi al livello mediatico in cui operano gli organi del nemico di classe. La necessità è imprescindibile: in un mondo in cui gli USA/NATO sono pronti a scatenare la terza guerra mondiale, bombardano e occupano 10 Paesi contemporaneamente, ma l’opinione è indotta a credere che il pericolo sia la Russia e Kim Jong Un; in un mondo in cui si pauperizza il popolo con feroci riforme anti-sociali ma gli oppressi sarebbero le aziende e il capitale da liberare dai lacci e lacciuoli delle regolamentazioni, è vitale far emergere l’alternativa, la vera controinformazione, riportare il dibattito alla sua dimensione reale.
Idealmente questo nuovo organo dovrebbe costituirsi come un media center, un centro mediatico proletario incentrato su un’agile e robusta piattaforma web, un polo cartaceo (un quotidiano e in prospettiva più cartacei, come mensili, riviste, etc) e un polo radiotelevisivo. Una fortezza culturale in potenza in grado di dispiegare egemonia su tutti i fronti. Ovviamente, il nocciolo pratico della questione è che servono ampie risorse e ampie professionalità.
Qualcuno deve pur iniziare a impostare il progetto, tramite uno studio preliminare e un piano d’azione realistico: questo qualcuno non può essere un singolo, per quanto benintenzionato, non può che essere l’organizzazione – o le organizzazioni – d’avanguardia delle classi oppresse che dovrebbero federarsi intorno a questo obiettivo “minimo”.
La sovrastruttura, come spiegava fin troppo bene Gramsci, ha la stessa forza oggettiva della struttura. Perlomeno se fatta seriamente, e quella fatta dal nemico di classe è fin troppo fatta bene e dannatamente efficace e professionale. Non è serio, non è comunista, continuare a rispondere a questa sfida con l’amatorialità dell’autoproduzione e del dilettantismo dichiarato. Il velletarismo sconfittista molto romantico e utopico è forse comodo per rendite di posizione ribelli, ma non è al servizio dei lavoratori oppressi dei centri imperialisti. Il nemico non ci prende più sul serio da due decenni, così pure larghi strati della nostra classe di riferimento: sta al movimento comunista mettere da parte attendismi e pastoie dottrinali per cementare le forze e gli intelletti intorno a uno strumento comune che sia espressione di un progetto di riscossa condiviso.
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